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Ivan Lo Bello: «Retorica stantia

Ivan Lo Bello: «Retorica stantia oggi l’antimafia è ammaccata»

Il vice presidente di Confindustria: «Paolo Mieli ha ragione»

Di Mario Barresi |

Presidente Ivan Lo Bello, in un’intervista al nostro giornale Paolo Mieli ha parlato di «ridicola retorica dell’antimafia da straccioni in Sicilia».

«Sono d’accordo con Mieli. Anche se vedo una “antimafia ammaccata”, vedo anche nuove e fresche risorse. Purtroppo lo slancio originale si è burocratizzato ed è prevalsa una retorica stantia, quasi insopportabile».

È un “de profundis”?

«No. Questo non significa la fine dell’antimafia. Perché tante associazioni, da Addiopizzo a Libera, da Liberofuturo alla Fai – continuano a svolgere in silenzio la propria preziosa missione».

Lo stesso Mieli si chiede che fine abbiano fatto gli impegni antimafia lanciati da lei nel 2007, per i quali ammette di essersi «emozionato». Allora, cos’è successo a Confindustria Sicilia nella bufera per le inchieste di mafia, a partire da quella su Montante?

«Credo di aver dato un importante contributo nel mio mandato, fino ad aprile 2012. Ricordo la freschezza di allora, l’emozione al teatro Biondo, con LiberoFuturo e Addiopizzo, in una Palermo che sembrava “liberata”. Da allora, pur con tanti impegni professionali e con sobrietà, ho mantenuto la mie convinzioni e continuo a svolgere in silenzio la mia attività civile». 

Ma anche il silenzio può avere un significato. Qualcuno il suo lo interpreta come una presa di distanza.

 «Ci sarà modo di tornare su questo come su altri argomenti».

D’accordo. Lei è fra i pochi “grandi elettori” siciliani che hanno appena scelto il nuovo presidente nazionale di Confindustria. Per chi ha votato?

«Per Enzo Boccia».

Perché?

«Abbiamo avuto due candidati di livello, Boccia e Vacchi, con caratteristiche diverse ma accomunati dal fatto di avere qualità e visione, come emerso da un bel confronto elettorale. Nella sostanza ho scelto Boccia per una fiducia e per un rapporto di tipo personale e per la valenza del suo progetto nazionale».

A maggio s’insedia Boccia. Lei aspira a mantenere il ruolo di vicepresidente nazionale?

«Io penso di concentrarmi molto sul mio impegno di presidente nazionale di Unioncamere in un momento molto importante a livello di riorganizzazione e di innovazione. Ho avuto un mandato molto forte dalle associazioni di categoria, a partire da Confindustria, e vorrei impegnarmi su questo versante».

 “Report” ha fatto un’intera puntata con un interrogativo di fondo: a che serve e a chi serve, oggi, Confindustria? Le giriamo la stessa domanda.

«Bisogna partire dalla struttura. Oggi Confindustria è un’associazione privata costituita da associazioni territoriali, regionali e di categoria. Tutte le strutture sono finanziate dagli imprenditori, non c’è un euro che arriva da altre fonte. E non c’è un obbligo di iscrizione: sono aziende che ritengono utili i servizi, l’assistenza e la rappresentanza che si possono avere da Ragusa a Bolzano».

Ma perché un imprenditore oggi sceglie di iscriversi a Confindustria?

 «Per tante ragioni. Alcune di principio, come ad esempio l’idea che stare dentro questo sistema possa contribuire a migliorare il Paese. Altre per la qualità dei servizi che ricevono le imprese associate. E poi perché comunque ritengono Confindustria un punto di riferimento, un fattore aggiunto per la crescita complessiva della propria azienda. Con un modello molto diverso da quelli tedesco e francese, legati soprattutto alle grandi aziende. Da noi c’è spazio per le medie e le piccole, una struttura originale nel panorama europeo che riflette il tessuto produttivo del nostro Paese».

Parlava del suo impegno da presidente nazionale di Unioncamere. Cos’ha trovato sul suo tavolo?

«Io mi sono insediato a luglio del 2015. E in questi otto mesi c’è stata un’accelerazione della riforma del sistema delle Camere di Commercio. La nostra storia è stata sempre un luogo di innovazione, e penso al professore Volpato, insigne accademico all’università di Padova e Trento, che nel 1974, costituì la Società informatica Italiana, quando nel vocabolario non c’era ancora la parola “informatica”, e da lì nacquero Cerved ed Infocamere. Nel 1995, il registro delle imprese fu totalmente digitalizzato ed è un fiore all’occhiello europeo e mondiale. Ricordo prima della digitalizzazione le migliaia di fascicoli, polverosi, nelle cantine dei tribunali: oggi una visura o un certificato, viene immediatamente inviata online, prima del 1995, per avere un certificato occorrevano due, tre quattro settimane. Da qualche mese i certificati e le visure parlano anche in inglese: da una ventina di Paesi siamo arrivati a 70 da tutto il mondo».

E oggi Unioncamere come affronta questa sfida?

«Oggi guardiamo con attenzione al tema dell’agenda digitale, con la prospettiva di dare un contributo significativo al successo di un progetto del governo fondamentale per il nostro Paese. Del resto abbiamo già anticipato l’agenda digitale circa cinque anni fa e mi riferisco al Suap e allo Sportello unico con 3.393 Comuni già digitalizzati. Lo strumento principe con cui lavoriamo è Infocamere, che gestisce il registro delle imprese con 6 milioni di aziende, 10 milioni di amministratori, 1,2 milioni di professionisti e circa 50 milioni di dati generati ogni giorno. Vorremmo andare oltre con i “big data”, con progetti innovativi che creino ulteriore valore aggiunto».

Quali sono questi progetti?

«C’è in atto un importante lavoro di “policy”. Mi limito a un paio di esempi. Stiamo analizzando quello che è successo dal 2007 al 2013 e non su un campione di poche centinaia di aziende, ma con poco meno di un milione di società di capitale coinvolte. Sarà il racconto più autentico del Paese negli anni della crisi, attraverso le dinamiche delle aziende. Vogliamo capire se quella vissuta è stata una semplice recessione o un cambiamento epocale. L’altro lavoro in campo è uno studio, sempre attraverso il registro delle imprese, sull’integrazione economica degli immigrati, con dati molto interessanti che dimostrano come stiano cambiando le loro tradizionali attività economiche. Molti degli immigrati si stanno integrando con attività simili alle tante nostre aziende con risultati sorprendenti».

C’è ancora un digital divide col resto dell’Europa?

«Il nostro ruolo è quello di dare un contributo è rafforzare il tasso di innovazione e digitalizzazione del nostro Paese. L’Italia in Europa purtroppo è al 27º posto per connettività, 24º per competenze digitali, 26º per l’uso di internet, 15º per servizi pubblici digitali. Il ritardo riguarda anche le imprese, 4 su 10 dichiarano che internet a loro non serve. Solo il 21% delle Pmi utilizza i social media. Dall’altro lato, le Pmi attive sul web aumentano in produttività, con fatturati crescenti, il +5,7 %, e maggiore capacità di esportare. Avanza l’imprenditoria giovanile: le imprese guidate da under 35, per il 65% partono già attive sul web, il 57% ha un sito, il 56% una pagina Facebook, il 45% è pronto, o si sta organizzando, per la vendita online. Con Google e il ministero del lavoro accompagniamo tanti ragazzi con il programma “Crescere Digitale”. Guardiamo con attenzione al sistema scolastico, con l’alternanza scuola-lavoro e con progetti che a breve presenteremo».

Qual è, da Unioncamere, la fotografia del Sud e della Sicilia?

«Il primo punto è che non esiste “il” Sud, ma tanti Sud. Anche a distanza di pochi chilometri. Pezzi diversi di Mezzogiorno, come la Puglia che sta crescendo nel suo complesso o la Campania con alcune contraddizioni fra eccellenze e buchi neri. E in questo quadro c’è la Sicilia, che ha preso una botta forte, in questi anni. Se scremiamo il Pil, guardando alle aziende e a loro tasso d’innovazione, il sud-est è quello che ha più chance di ripresa. Non dico che stiamo crescendo, ma questa zona della Sicilia ha alcune peculiarità, come le dinamiche turistiche, sulle quali, pur con grandi difficoltà, si può investire. Il che non significa separare il sud-est dal resto della Sicilia, ma consolidare un modello e contagiare in positivo altre zone».

Quant’è importante il processo di accorpamento delle Camere di Commercio? E perché in Sicilia ha prodotto così tanti veleni?

«Non voglio entrare nel merito di vicende che ormai sono anche di profilo giudiziario. Ho il dovere di essere rispettoso, da questo punto di vista. In Sicilia, e mi riferisco soprattutto a Catania-Siracusa-Ragusa, l’accorpamento è di certo una grandissima opportunità per il territorio. D’altronde, il processo di razionalizzazione nazionale prevede una riduzione delle Camere di Commercio da 105 a 60. Diminuiscono i terminali della governance, ma i presìdi restano comunque su tutti i territori. Questo è un tema centrale, che forse non è stato compreso fino in fondo: le Province non ci sono più o sono un simulacro di loro stesse, i Comuni hanno le loro competenze. In mezzo c’è un vuoto, che può essere colmato dalle Camere di Commercio. Il nostro sarà un ruolo diverso, rispetto al passato. E abbiamo tutti gli strumenti e le competenze per svolgerlo al meglio».

Come vede il futuro della Sac e dell’aeroporto di Catania alla vigilia di una quotazione in Borsa che lei – dicono – ha fortemente voluto?

«Mi si attribuiscono chissà quali poteri in questo e in altri contesti… Io sono il presidente della Camera di Commercio di Siracusa, che ha il 12,5% delle azioni di Sac. L’aeroporto di Catania in questi anni è cresciuto, nonostante i problemi strutturali. Credo che la quotazione in Borsa, oltre a essere la massima espressione di trasparenza e controllo, serva prevalentemente per avere le risorse per fare gli investimenti: la nuova aerostazione, i progetti con le ferrovie e tanti altri sul tavolo. Sono convinto che le prospettive di sviluppo non potranno che essere rafforzate».

E l’aeroporto di Comiso che ruolo avrà?

«Probabilmente arriverà l’anno prossimo al break even. E ciò significa che è un progetto che ha un senso, a maggior ragione in prospettiva del raddoppio della Catania-Ragusa, appena sbloccato. Questo è un elemento fondamentale, perché già l’aspettativa dell’autostrada ha un valore. Comiso ha un potenziale veramente significativo, soprattutto se riesce a consolidare la fascia da Vittoria a Gela e Licata, fino all’Agrigentino. Un potenziale assolutamente complementare a Fontanarossa».

twitter: @MarioBarresi

 

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