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Palermo, blitz contro i clan: 33 arresti

Palermo, blitz contro i clan: 33 arresti Riuscirono a far dimettere il sindaco di Cerda

Operazione Black Cat dei carabinieri: pizzo a tappeto VIDEO

Di Redazione |

Una vasta operazione antimafia è stata messa a segno nel Palermitano dai Carabinieri, che hanno eseguito un’ordinanza con 33 provvedimenti cautelari (24 in carcere e nove ai domiciliari).

I provvedimenti, emessi dal gip del Tribunale di Palermo, Fabrizio Molinari, su richiesta del procuratore Francesco Lo Voi, ipotizzano a vario titolo i reati di associazione mafiosa, estorsione, furto, rapina, illecita detenzione di armi, intestazione fittizia di beni e trasferimento fraudolento di valori, aggravati dall’agevolazione del sodalizio mafioso.

Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai pm Sergio Demontis, Alessandro Picchi, Siro De Flammineis, Bruno Brucoli, Gaspare Spedale ed Ennio Petrigni, hanno consentito di delineare gli interessi di Cosa nostra nella zona orientale della provincia di Palermo – a partire da Bagheria sino ad arrivare ai confini delle province di Catania e Messina – e di ricostruire in maniera dettagliata i nuovi organigrammi dei due storici mandamenti di Trabia e San Mauro Castelverde.

In particolare è stato documentato il ruolo di vertice ricoperto per il mandamento di Trabia da Diego Rinella, affiancato da Michele Modica, capo famiglia di Trabia, nella gestione operativa delle attività illecite e nei rapporti con le famiglie mafiose di Cerda, Caccamo e Termini Imerese.

Per il mandamento di San Mauro Castelverde da Francesco Bonomo, che poteva contare su diversi affiliati per il trasporto di pizzini e messaggi a reggenti e sodali delle famiglie di San Mauro Castelverde, Polizzi Generosa e Lascari.

L’operazione ha dimostrato la riorganizzazione delle cosche mafiose in una vasta area della provincia, dopo gli arresti e le operazioni di polizia (ultima in ordine di tempo “Camaleonte III” del 2011) che ne hanno decimato le fila.

In questi anni le indagini hanno fatto luce su incendi e intimidazioni nei confronti di imprenditori che si erano aggiudicati appalti o che volevano avviare nuove attività economiche di rilievo nell’area. Per proseguire l’attività, spiegano gli inquirenti, era necessaria la “messa a posto” con le buone o le cattive. I boss facevano ricorso ad intimidazioni dirette, con furti o danneggiamenti, quando gli imprenditori cercavano di resistere alle richieste di pizzo. Quattro le estorsioni ricostruite nel corso delle indagini: la prima ad un imprenditore titolare di concessioni edilizie per la costruzione di alcune villette in contrada “Sant’Onofrio” di Trabia.

La seconda ad un’impresa edile impegnata nei lavori per la realizzazione di un istituto scolastico a Termini Imerese. La terza ad un’impresa, aggiudicataria dei lavori di riqualificazione dell’ex cinema “Trinacria” del comune di Polizzi Generosa. La quarta nei confronti di una ditta edile aggiudicataria di un appalto pubblico, per un importo complessivo di circa trecentomila euro, per la ristrutturazione di un immobile denominato “Ex Carcere”, nel comune di Castelbuono.

Se gli imprenditori non accettavano la messa a posto venivano incendiati i mezzi. Come nel maggio 2012, in contrada “Granza” di Sclafani Bagni, quando furono incendiati e completamente distrutti quattro trattori e un bobcat parcheggiati all’interno di uno dei capannoni dell’azienda di proprietà di due imprenditori agricoli.

Anche le amministrazioni comunali erano nel mirino, come quella di Cerda, dove il 30 ottobre 2012 furono incendiate le autovetture dell’allora sindaco Andrea Mendola “colpevole” di non avere agevolato gli interessi e l’attività dei boss mafiosi.

“Ci dobbiamo prendere il paese nelle mani” ripetevano al telefono i boss mafiosi, ignari di essere intercettati dai carabinieri.

Le indagini hanno accertato che quattro anni fa i padrini riuscirono a far dimettere il sindaco di Cerda, Andrea Mendola, che non si era voluto piegare alle mire dei clan. Mendola chiese aiuto e poi presentò le dimissioni denunciando di “essere stato lasciato solo”. Le indagini della Procura di Palermo e dei carabinieri hanno confermato che dietro a quella pesante intimidazione c’era la mano di Cosa nostra.

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