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Le carte del processo. Telecamere e tabulati ai raggi x

Le carte del processo. Telecamere e tabulati ai raggi x

Di Mario Barresi |

Ragusa – Lei, in aula, non cerca più gli occhi del marito. Insegue, invano, quelli del suocero. Quella sulla pazzia di Veronica Panarello è una falsa guerra. Anche perché, al di là delle sottili confini pschiatrici (personalità disarmonica o disturbo di personalità), la difesa questa battaglia l’ha già persa nella perizia. Semmai qualche cartuccia resta, in prospettiva, per l’eventuale riconoscimento di attenuanti. E allora qual è la vera posta in gioco? L’avvocato Franco Villardita, quando dice che «per noi non è negativo che Veronica non sia stata riconosciuta incapace di intendere e di volere», da un lato fa di necessità (processuale) virtù (di strategia). Perché adesso, fallita l’esclusione dalle parti civili, parte l’assalto finale al suocero Andrea Stival. Chiamato in causa dalla madre di Loris («eravamo amanti, il bambino l’ha ucciso lui perché ci aveva scoperti») e indagato, come atto dovuto, dalla Procura di Ragusa per concorso in omicidio e occultamento di cadavere.

Con quali elementi la difesa proverà a sostenere la cosiddetta «ultima verità di Veronica»? Innanzitutto con i video, in un processo costruito sulle immagini delle 42 telecamere di Santa Croce Camerina. Villardita ha già depositato una perizia (firmata da Pierdavide Scambi e Cristian Mendola) al pm Marco Rota. La tesi è che, al momento in cui Veronica racconta di tornare a casa in compagnia del suocero, «è visibile una sagoma all’interno dello spazio definito dal finestrino posteriore dell’auto». Il passaggio è inquadrato dalla telecamera di “Vanity House” alle 8,58 di quel maledetto 29 novembre 2014. In effetti il frame (inquadrato dal display dell’avvocato nel corso della trasmissione “Quarto Grado”, ma che vi proponiamo per la prima volta in versione originale) fa una certa impressione. L’altra circostanza suggestiva è che un’ora dopo (alle 9,50), cioè quando Veronica esce da casa da sola a bordo della sua Polo, dalla stessa telecamera «il finestrino posteriore appare privo di ingombri e/o sagome». La sintesi è che «un soggetto è presente nel sedile posteriore dell’auto al primo passaggio, mentre al secondo non si rileva alcuna presenza». Una doppia conferma, secondo la difesa, al racconto dell’imputata. Ma la Procura di Ragusa, che da mesi indaga sul coinvolgimento del suocero, controbatte con un’altra perizia di Giovanni Tessitore. Che pone un primo rilievo tecnico: «I fotogrammi sono stati elaborati applicando il filtro “curve” che ha “amplificato” notevolmente le differenze tra i pixel dell’immagine». Usandolo «in modo improprio, saturando la maggior parte dei pixel con il rischio di interpretare come oggetti della scena riflessi o artefatti da compressione». L’altro elemento che annota Tessitore è l’uso di filmati tratti dai duplicati forniti alle parti (ma la difesa sta rifacendo il test con le immagini originali), considerando anche che la qualità di partenza della telecamera di “Vanity House” sono di «scarsa qualità per via della ridotta risoluzione». Il perito dell’accusa ha analizzato i file d’origine. Il verdetto? La sagoma è «un riflesso o un artefatto da compressione».

In particolare l’ombra «è appena visibile allorquando l’autovettura si trova in corrispondenza di una discontinuità di asfalto potendo quindi essere in realtà un semplice riflesso di quest’ultima». Spiegazione avvalorata dal fatto che «nei successivi fotogrammi detta sagoma non sia più visibile». E allora perché nel secondo passaggio dell’auto – quello delle 9,50 – non si vede più nulla? Tessitore dà due dimostrazioni. La prima è che «il finestrino lato guidatore è aperto nel secondo passaggio mentre era chiuso nel primo cambiando il modo di riflettere gli oggetti da parte dei vetri». La seconda è che «nel primo passaggio l’auto passa al di sopra della discontinuità di asfalto cosa che non succede nel secondo passaggio». Il consulente della Procura aggiunge un altro elemento, già utilizzato nelle indagini su Andrea Stival. Ovvero: c’è un’altra telecamera privata, quella di Maria Di Bari, che in via Roma inquadra la stessa zona davanti a casa di Veronica, e che però «non evidenzia alcuna ombra riconducibile a soggetti nel finestrino posteriore dell’autovettura».

Oltre alla controperizia, a rafforzare la convinzione della Procura ci sarebbero anche delle simulazioni del percorso descritto da Veronica, effettuate dalla Mobile di Ragusa, secondo le quali – cronometro e telecamere alla mano – la versione della donna (l’incontro casuale col suocero, che sale sull’auto) non avrebbe riscontro. Anzi: raffrontando il solito tragitto ripreso in altre giornate, lo stesso sarebbe addirittura più rapido proprio nella mattina del 29 novembre. Tutto finito? No. Perché la difesa è certa di convincere il gup dell’esistenza della relazione fra Veronica e Andrea, sempre smentita da quest’ultimo. Il colpo di scena è la relazione sui contatti telefonici fra i due: +5.900%, secondo la stima della difesa, da quando lei sostiene che il rapporto fosse cambiato. E cioè da quando l’uomo fu allontanato da casa dalla figlia Jessica. «Iniziò a frequentare casa mia con più assiduità – racconta Veronica al pm – e mi chiamava con più assiduità anche per motivi banali». Nessun elemento sulla “qualità” dei contatti. Ma la quantità è evidente: sui 646 «eventi di traffico telefonico» fra febbraio 2013 e la data del delitto, ben 555 avvengono fra aprile e novembre 2014. Con punte record a settembre (110) e ottobre (118 contatti). Veronica ha raccontato: «Cedetti alle lusinghe di mio suocero verso la metà di agosto».

Cosa significa? Niente, se gli inquirenti – a prescindere dall’idea che hanno maturato sulla natura del rapporto nuora-suocero – restano convinti che Andrea non sia collocabile sul luogo del delitto. E questa idea viene confermata anche dall’opposizione della Procura alla richiesta di Villardita di escludere il nonno di Loris dalle parti civili. Allora? La relazione, tutt’altro che dimostrata, resterebbe un movente. E basta. Ma Veronica e il suo difensore sanno che è l’ultima chance per ridurre una condanna che potrebbe arrivare anche a 30 anni. Dunque faranno l’impossibile per ritirare l’uomo dentro il processo. Ieri Andrea, a fine udienza, ha ricordato il dolore, mai sopito, «per la morte di mio nipote, che era un quarto di me». L’interruzione brusca del rapporto col figlio Davide Stival? «Per ora non c’è rapporto, ma i rapporti si riprendono. Lui conosce chi è suo padre». E il nonno indagato ha ripetuto: «Io sono sempre a disposizione degli inquirenti». E se la difesa chiedesse al gup Andrea Reale ciò che il pm Marco Rota ha già rigettato? Un faccia a faccia. Il primo e l’ultimo. Prima che cali il sipario.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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