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Riscossione Sicilia passa all'incasso

Riscossione Sicilia passa all’incasso Per i sindaci pronte “cartelle” da 42 milioni

Nell’elenco ci sono 133 Comuni a rischio: all'asta bus e auto blu  Il debito di Catania: 19 milioni. «Per chi non paga il dissesto»

Di Mario Barresi |

CATANIA. Il debito c’è. Ed è pesante. Per essere precisi, proprio al centesimo: 42.869.796,76 euro. Soldi che Riscossione Sicilia intende pignorare a 133 Comuni siciliani. In pratica un sindaco su tre rischia di vedersi sfilare i soldi dal conto corrente della tesoreria comunale (almeno chi non lo ha in rosso fisso), oppure, così come già avvenuto in alcune realtà, di trovarsi l’ufficiale notificatore davanti alla porta con un’ingiunzione per mettere all’asta l’autobotte comunale, l’auto di servizio (come nel caso di Montevago, amministrato dalla deputata regionale Margherita Ruvolo) o addirittura lo scuolabus.

L’ultima crociata di Antonio Fiumefreddo rischia di aprire un contenzioso istituzionale ad altissima tensione. L’amministratore unico della società partecipata della Regione aveva già annunciato la tolleranza zero nei confronti dei municipi morosi (si tratta di Imu e Tarsu su immobili comunali, più altre pendenze fiscali ed erariali, come i pagamenti di tasse di possesso di automezzi) e degli altri enti che «finora hanno ricevuto un trattamento di favore da chi invece avrebbe dovuto far rispettare la legge». Già a gennaio l’allora cda di Riscossione Sicilia avviò i pignoramenti nei confronti di circa 180 Comuni e 400 enti tra pubblici e privati: scuole, aziende ospedaliere, teatri, sindacati, enti di formazione professionale. Ma anche di forze dell’ordine (carabinieri compresi) e persino della “proprietarie”, la Regione Sicilia, debitrice di circa 25 milioni nei confronti della società partecipata al 100%. I debiti degli enti pubblici verso l’“Equitalia sicula” ammontano a poco meno di 70 milioni.

«E se teniamo conto del fatto che l’aggio a nostro favore è dell’8%, nelle nostre casse dovrebbero esserci almeno 5 milioni in più oggi», ragionano negli uffici di Riscossione Sicilia. Questa, parola per parola, è l’ultima dichiarazione di guerra di Fiumefreddo ai sindaci siciliani: «Non è accettabile che i Comuni chiedano le tasse ai cittadini, ma poi non onorino i loro debiti con l’Erario, così come non onorano i debiti con i privati. Negli anni il malgoverno delle città ha distorto il modello istituzionale democratico. Sia chiaro che non si può continuare così, ma i sindaci abbiano il coraggio, che poi sarebbe un obbligo di legge, di dichiarare il dissesto anziché indebitare ulteriormente i Comuni e quindi i cittadini stessi». A scanso di equivoci (anche per evitare la caccia alle streghe seguita alla pubblicazione del tabulato dei deputati regionali messi in mora da Riscossione), precisiamo subito che la lista dei Comuni nel grafico accanto, con il relativo ammontare del pignoramento, è attribuibile a una fonte ufficiale e verificata: la stessa Riscossione Sicilia. Questo è il report aggregato dei nove uffici provinciali, aggiornato al 29 giugno.

Questi numeri corrispondono alle somme che Riscossione Sicilia ritiene «procedibili» per il pignoramento. Al lordo delle ragioni dei sindaci, della diversità delle singole situazioni e dei grovigli burocratico-giudiziari di ogni debito. Tanto più che ogni Comune ha seguito una strategia di risposta diversa. C’è chi ha pagato tutto (o quasi) e subito. Come Mascali (debito di 25mila euro), Taormina (163mila euro), Siracusa (i primi 47mila euro), Agrigento (una tranche di 50mila euro), e altri. «Rispetto ai nostri dati – precisa l’amministratore unico di Riscossione – l’atteggiamento dei comuni più piccoli, a parità di difficoltà finanziarie se non addirittura con situazioni più complicate, è sicuramente più virtuoso e più propositivo di quello dei sindaci di molte grandi città siciliane», C’è chi ha avviato la rateizzazione (con l’effetto, come per i normali cittadini, di bloccare l’iter di pignoramento); alcuni versando le rate con puntualità, altri meno. Non a caso i Comuni nella “lista nera” di Fiumefreddo sono scesi dai 180 di gennaio ai 133 del 29 giugno. Campobello di Mazara, ad esempio, sta pagando con regolarità le rate su un totale di oltre 676mila euro, mentre altri centri dell’Agrigentino (Burgio, Camastra, Calamonaci e Menfi) sono già in sofferenza con le “cambiali”, alcune delle quali già scadute. C’è chi non ha dovuto fare nulla, perché per ora il debito resta congelato. Innanzitutto i Comuni che hanno dichiarato il dissesto finanziario. In questo caso i sindaci o i commissari ad acta (come a Comiso,Ispica, Augusta, Lentini, Caltagirone, Scordia,Aci S. Antonio, Palagonia, Mirabella Imbaccari, Santa Maria di Licodia e Santa Venerina) hanno presentato istanza di ammissione alla cosiddetta “massa passiva”, come tutti gli altri fornitori che vantano crediti. Ma c’è anche il caso di enti formalmente non in default. Eppure quando Riscossione Sicilia s’è rivolta alle banche-tesorerie s’è sentita dire che «non c’è nulla da prendere».

Qualche caso? Calatabiano, Castiglione di Sicilia, Giarre, Randazzo, ma soprattutto Messina (debito di 381mila euro, comunque impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale). C’è invece chi ha sbandierato una delibera di impignorabilità di somme ritenute fondamentali, uno delle risposte più efficaci all’aggressione (termine tecnico) del debito da parte di Riscossione Sicilia. Bronte, ad esempio, ha dichiarato “intoccabili” 5,2 milioni per il 1° semestre del 2016; quasi 3 milioni congelati da Motta Sant’Anasta – sia; addirittura 11,1 e 6,2 milioni le poste deliberate come impignorabili rispettivamente dai Comuni etnei di Tremestieri e San Giovanni la Punta. «L’impignorabilità, da consolidata giurisprudenza – ricorda Fiumefreddo – può riguardare soltanto le somme destinate a pagare gli stipendi. Tutto il resto, se tenuto fuori con delibere ad hoc, è tentata elusione. Una vera propria barbarie fiscale». Il riferimento è anche alla levata di scudi dei sindaci e dell’Anci all’epoca in cui Riscossione Sicilia annunciò l’avvio dell’iter dei pignoramenti agli enti pubblici.

«L’avvocato Fiumefreddo studi bene la legge prima di parlare», fu il commento più tenero. Ma nel campionario delle reazioni istituzionali ci sono, infine, i casi di chi ha fatto opposizione al pignoramento, sospendendo i termini dell’atto e sfidando la società regionale a singolar tenzone davanti al giudice. Come il Comune di Catania, che detiene il record siciliano del potenziale pignoramento: 19 milioni di euro, quasi il 50% del monte-debiti di tutti i comuni dell’Iso – la. Al confronto, sembrano bruscolini i 682mila euro di Palermo; più consistenti i debiti di altri centri non capoluoghi di ex province; Gela (1,3 milioni) e Vittoria (1,2 milioni) in testa, con Noto a quota 631mila euro. Imporanti, soprattutto per l’impatto sui bilanci di centri medio-piccoli, i pignoramenti di Riscossione nei confronti di Aidone (918mila euro), San Giovanni Gemini (oltre 1 milione). E soprattutto del centro-mignon di Buscemi, nel Siracusano, che supera il milione di debito «procedibile» con l’Erario. Mille euro per ognuno dei 1.071 abitanti, neonati compresi.

Ma il caso più clamoroso, anche dal punto di vista politico, riguarda Catania. Fiumefreddo batte cassa con Enzo Bianco per 18.947.141,77 euro. Il 14 giugno scorso Unicredit, in qualità di tesoriere, secondo il report di Riscossione Sicilia dichiara che «fin dalla data di notifica del pignoramento (il 26 gennaio 2016, ndr) non esistono fondi di pertinenza del Comune, pertanto nessuna somma è stata vincolata». E dunque, fra istanze al giudice e legali contrapposti, la partita adesso si gioca in tribunale. Prossima udienza l’8 luglio. «Chiederò di dichiarare il dissesto finanziario del Comune di Catania, così come degli altri che si rifiutano di pagare senza averne il diritto». Questa è la minaccia (o la promessa?) dello “sceriffo” Fiumefreddo.

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