«A Campobello di Mazara dove si respira la mafia», il racconto dell'urbanista che ha lavorato con la commissione straordinaria
Marina Marino esperta in urbanistica per la Commissione straordinaria che tra il 2012 e il 2014 ha guidato il paese sciolto per infiltrazioni mafiose
«Ho lavorato per due anni a Campobello di Mazara e vissuto lì un tempo di formazione ineguagliato e fondamentale. Ho capito la potenza della mafia quando assoggetta e sottomette un territorio. Ho capito la forza delle relazioni che fanno sì che l’energia del potere criminale produca l’esistenza di un sistema altrettanto forte, complice e servo».
A raccontarlo all’ANSA è Marina Marino, esperta in urbanistica per la Commissione straordinaria che tra il 2012 e il 2014 ha guidato Campobello di Mazara, nei luoghi in cui si nascondeva Matteo Messina Denaro. Marina Marino è stata chiamata a occuparsi di urbanistica in tante Commissioni di Comuni siciliani sciolti per mafia.
«Un luogo violento», così lo ricorda l’urbanista, «per lo stato di abbandono e incompletezza che sembra caratterizzarlo, vuoto di persone, sede di uno dei campi per migranti irregolari più devastato del Paese. Cani randagi e solitudine. Ma anche bar moderni, illuminati e ricchissimi di ogni bontà immaginabile. Intorno, l’oscurità e il vuoto sociale». Da Ottobre 2012, per due anni Marina Marino si è misurata «per conto dello Stato con l’amministrazione locale dell’urbanistica retta da logiche mafiose, accolta, appena fuori dal paese, da una grande scritta con una brillante vernice rossa su una vecchia cabina elettrica che diceva «W Matteo Messina Denaro», tanto per non illuderci che i benvenuti non eravamo noi», ovvero lei e la Commissione straordinaria, ricorda l’esperta.
«Ci capitò subito - racconta - di occuparci di un complesso turistico di 4000 posti letto, autorizzato con una concessione edilizia di una paginetta a Carmelo Patti patron della Valtur, poi arrestato per contiguità con Messina Denaro. I lavori mai iniziati, eppure prorogati due volte; l’area in cui avrebbe dovuto sorgere il complesso turistico, a ridosso di quella archeologica di Selinunte, era stata confiscata e affidata a tre amministratori individuati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che si batterono per mantenere in vita quel progetto. Vincemmo noi, con la legge. Il tanto lavoro regionale e comunale per autorizzare un’enormità, non fu più un progetto. E poi i circa 200 nulla osta della Soprintendenza di Trapani al mantenimento di case abusive costruite sulla battigia, con i quali si favoriva il muratore, il contadino, il poliziotto e il funzionario della prefettura, l’avvocato: tutti egualmente uniti dall’unico destino di essere titolari di un edificio costruito in riva al mare, con l’unica possibilità di ricevere il condono edilizio. Che poi era arrivato, senza creare discriminazioni. Così la mafia diventa forte - ragiona Marina Marino - aprendo la porta della riconoscenza e dell’eguaglianza per il favore ricevuto».
E poi ancora un villaggio turistico fantasma composto di villette prospicienti il mare tali da consentire l’approdo di motoscafi e la permanenza indisturbata e accompagnata da visite e traffici del boss di Castelvetrano mentre negli edifici destinati ad albergo si offriva ai malcapitati turisti acqua densa di coliformi fecali per la coesistenza nella stessa conduttura delle acque bianche e nere.
«Ci chiedemmo come 3000 posti letto potessero essere occupati senza un sito internet: fu confiscato», racconta l'urbanista. Intanto a Campobello, tra il 2013 e il 2014, a lei e ai commissari straordinari capitavano eventi poco piacevoli: «Al bar, davanti alla tazzina del caffè, si discuteva del "servizietto" che avrebbero voluto farci: ammazzarci o soltanto farci molto male, così, a voce alta, appositamente per essere ascoltati».
Poi è arrivata a metà del 2014, pochi mesi prima della fine del Commissariamento Straordinario, la pistola lanciata con forza alle spalle dell’urbanista, dentro il cortile dell’ufficio tecnico.
«Una scacciacani con matricola abrasa, proiettili in canna e capace di sparare, che si infranse sulla parete di fronte a me con un tonfo dall’eco di un’esplosione. Non ricordo di avere provato incredulità e nemmeno, incoscientemente, paura. Fredda rabbia sì, respiro lento e il pensiero immediato alla libertà che avrei perso se avessi lasciato spazio alla paura», ricorda Marino, che con altri tecnici, tutte donne, decide di proseguire a lavorare con determinazione.
Dal giorno dopo, con l’appoggio convinto della Commissione Straordinaria, firmano decine di provvedimenti di demolizione e di acquisizione al patrimonio comunale delle case sul mare di Tre Fontane.
«Sentivamo un diffuso disprezzo feroce e freddo accompagnarci alle spalle, la sensazione per noi sfuggente della presenza di Messina Denaro. Resta in questo momento un bisogno di memoria e il senso dei miei giorni a Campobello di Mazara, comunque ad ostacolare Messina Denaro».