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Corruzione in Sicilia, così il giudice del Cga aggiustava le sentenze

Di Lara Sirignano |

Quando l’allora presidente del Cga, massimo organo di giustizia amministrativa in Sicilia, vide che la sentenza, depositata oltre un anno dopo la camera di consiglio, era diversa da quella concordata con i suoi giudici, scrisse al collega che aveva redatto il provvedimento, Giuseppe Mineo, consigliere laico nominato in quota Mpa. Voleva capire perché il verdetto deliberato nel segreto della camera di consiglio fosse nel frattempo cambiato. Mineo, oggi arrestato per corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreti d’ufficio, gli rispose che forse, visto il tempo trascorso, aveva dimenticato cosa era stato stabilito. Una spiegazione che decisamente non ha convinto il Gip che ha disposto il carcere per l’ex giudice.

ECCO CHI E’ GIUSEPPE MINEO

Per gli inquirenti, se le sentenze magicamente cambiavano quando il relatore era Mineo il motivo era un altro: la corruzione. La Procura di Messina guidata da Maurizio de Lucia non ha dubbi, l’ex componente del Cga in cambio di soldi si era detto disponibile a favorire le imprese siracusane Open Land e AM Group nei ricorsi che queste avevano intentato davanti al Cga contro il Comune e la Sovrintendenza di Siracusa. Sfruttando il suo ruolo di relatore della causa si sarebbe impegnato a sovrastimare il danno che i due enti avrebbero dovuto risarcire alle società controllate dai costruttori siracusani Frontino in un interminabile contenzioso peraltro ancora in corso.

A confermare i sospetti dei magistrati sono le rivelazioni di due personaggi che le vicende le conoscono bene: Piero Amara e Giuseppe Colafiore, legati a doppio filo ai Frontino e loro difensori in diversi contenziosi. Arrestati a febbraio dalla Finanza nell’ambito dell’inchiesta che ha svelato il «sistema Siracusa», la rete di corruzioni messa su per pilotare inchieste e affari che ha coinvolto anche l’ex pm Giancarlo Longo, Amara e Colafiore hanno cominciato a collaborare. Le loro dichiarazioni, al vaglio anche dei Pm romani che indagano su presunte sentenze pilotate al consiglio di Stato, raccontano di un vero e proprio accordo corruttivo con Mineo.

«Il giudice voleva 115mila euro. Non per sé, ma per il carissimo amico Giuseppe Drago, ex presidente della Regione siciliana molto malato che doveva fare un costoso intervento in Malaysia. Drago è poi morto nel 2016. Il pagamento è fatto per assecondare Mineo. – spiega Amara – Mineo ci chiede di aiutare Drago». Il denaro non viene dato direttamente al politico, ma passa per il conto maltese dell’imprenditore siracusano Alessandro Ferraro a cui oggi il gip ha concesso i domiciliari. “Dopo, incontrammo Mineo e parlammo della camera di consiglio. – prosegue il legale – Mineo ci ha rivelato il suo orientamento su Open Land e su AM Group. Cercammo, io e Calafiore, a Roma all’hotel Alexandra, alla presenza di Ferraro di convincerlo a riconoscere di più. L’incontro fu preparato, Calafiore venne con degli appunti e scrisse addirittura un’ipotesi di sentenza. Gli atti furono consegnati a Mineo…». Ma qualcosa va storto, perché intanto esplode il caso «Procura Siracusa» e tra veleni ed esposti si comincia a parlare della gestione che l’ex pm Longo faceva di certi fascicoli. Tutto si blocca, ma per il Gip, il reato non viene meno. E nella misura cautelare Mineo viene descritto come una persona «avvezza a una particolare professionalità a delinquere in spregio alla funzione pubblica ricoperta».

Docente universitario a Catania, esperto di controllo di legalità per il Comune di Vittoria, nel 2016 l’ex giudice ha sfiorato la nomina al Consiglio di Stato. Il suo nome era stato proposto dal governo Renzi, ma a costargli la poltrona a Palazzo Spada è stato il procedimento disciplinare aperto a suo carico proprio per i ritardi nel deposito delle sentenze al Cga. Ritardi che, alla luce della nuova inchiesta, forse non erano dovuti solo a una scarsa attitudine al lavoro. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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