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Catania, bomba dissesto al Comune e si apre uno scenario che angoscia

Di Cesare La Marca |

CATANIA – Parole come pietre, numeri come macigni – su tutti l’enorme debito da quasi un miliardo e 600 milioni – e una “sentenza” pesante anche se non inappellabile, quella della delibera 153/2018 della Corte dei conti che si è abbattuta ieri mattina su Palazzo degli Elefanti, facendo tremare dalle fondamenta il Comune di Catania. Con un margine di tempo, trenta giorni, entro cui l’Amministrazione Pogliese approfondirà punto per punto le criticità finanziarie rilevate nelle 70 pagine del documento – la “storia”, i numeri e le responsabilità politiche dell’enorme onere che grava sull’Ente – per valutare se è possibile tenere accesa in extremis l’ultima fiammella di speranza per evitare il dissesto, inoltrando ricorso alle Sezioni riunite della Corte dei conti.

Il faldone di settanta pagine è pervenuto alle 10,05 di ieri mattina a Palazzo degli Elefanti, stravolgendo la conferenza stampa fissata per 25 minuti dopo, con oggetto sempre debiti, passività, mutui, tasse non riscosse (troppe, con la sola Tari intorno al 50% di evasione); ma la semplice parola “dissesto”, quella che da mesi circolava al Comune, ha cambiato istantaneamente scenari e prospettive, costringendo a ragionare nel brevissimo termine, e più di prima nell’emergenza finanziaria.

«Valuteremo se ci sono le condizioni per inoltrare ricorso e seguiremo ogni via legittima affinché questo sia possibile – ha detto il sindaco Pogliese – dobbiamo valutare ciò che è meglio per la città, non è il momento delle polemiche, non ne farò; anche se le modalità della deliberazione della Corte individuano abbastanza chiaramente quello che è accaduto negli anni scorsi».

Il dato complessivo fa riferimento a un debito certificato di 1 miliardo 247.294.159,53 euro, ai quali aggiungere 332.784.444,46 euro di interessi, arrivando all’importo totale di quasi 1,6 miliardi. A fronte dei numeri sul debito, il dato sulle entrate comunali registra un tasso di mancata riscossione molto significativo: prendendo a riferimento il 2017, con entrate accertate provenienti dalle imposte comunali nella misura di 278.260.150 euro, il riscosso ammonta a 210.914.396 euro. «Se è vero che una parte dell’evasione riguarda coloro i quali non possono pagare – ha aggiunto Pogliese – una parte rilevante riguarda coloro che fanno i furbi e non vogliono pagare, e la capacità stessa del Comune di incassare quanto accertato, che in passato è stata uguale a zero».

Un altro dato, tra le tante cifre, può allarmare anche di più: i quasi 200 milioni di crediti sul Comune vantati da imprese e fornitori, che in caso di dissesto solo in parte – in misura non ancora quantificabile come ha rilevato lo stesso sindaco – potrebbero essere saldati, aprendo uno scenario anche peggiore di quello attuale.

«Avvieremo un confronto nel merito con le istituzioni e la politica regionale e nazionale – ha rilevato il primo cittadino – Catania è la decima città d’Italia, noi ci assumiamo le nostre responsabilità ma abbiamo bisogno di essere supportati nel percorso di risanamento. Chiedo anche ai catanesi, soprattutto a quelli che le tasse non le vogliono pagare, di essere altrettanto responsabili».

In effetti, bisogna convincersi che questo enorme debito grava e graverà in percentuale chissà per quanti decenni sulle spalle di ogni catanese, dai neonati agli ultranovantenni.

«Il pronunciamento della Corte ci impone di essere sinceri verso la città», ha affermato l’assessore al Bilancio, il vice sindaco Roberto Bonaccorsi, che nel 2013 elaborò il piano di riequilibrio della Giunta Stancanelli. «Nella valutazione della Corte dei conti a motivare il dissesto è il mancato adempimento nei semestri del 2016 e 2017 rispetto agli obiettivi del Piano, tutto questo però va valutato in funzione del grande disagio economico e sociale che ha investito tutte le regioni del Sud, dove l’indice di povertà in base all’ultima indagine dell’Istat è arrivato al 41%, e tutto questo non può non ricadere sulle condizioni delle finanze di un ente che vive di trasferimenti nazionali e soprattutto di tributi locali, e quando questi non si riscuotono diventa difficile sostenere il peso di un bilancio o di un Piano di riequilibrio quale quello di cinque anni fa.

Oggi il nostro obiettivo è affrontare il problema – ha aggiunto Bonaccorsi – e non rimpallare le responsabilità. Non ci sarà alcuna contrapposizione da parte nostra, alcun dito alzato a indicare qualcuno. Le cifre sono quelle esposte dal sindaco, sono debiti che appartengono a tutti noi, dobbiamo capire quali sono le risorse necessarie per farcene carico, tra quelle che abbiamo o potremmo avere nella disponibilità del Comune e quelle che dovremmo trovare. E’ certo che se non riusciamo a riequilibrare il dato tra il carico imponibile accertato e il riscosso, qualunque azione di risanamento possiamo immaginare avrà il respiro corto».

La “ciambella di salvataggio” potrebbe venire dal governo nazionale, come avvenne per Napoli, salvata dal dissesto lo scorso marzo dall’esecutivo Gentiloni, certo in un altro scenario e contesto politico. Soluzione auspicata ieri dal sindaco Pogliese e dall’assessore Bonaccorsi, ma cosa accadrebbe in caso di dissesto, se non ci fossero le condizioni per il ricorso (o se questo fosse respinto) e se non arrivasse alcun aiuto straordinario? A delineare questo scenario è stata ieri il segretario e direttore generale del Comune, Antonella Liotta, nel corso della conferenza stampa “stravolta” dalla delibera della Corte dei conti.

«Lo scenario – ha spiegato – può essere definito oggi solo in modo astratto, facendo riferimento all’articolo 244 del Testo unico che disciplina la materia. Credo che sia ancora troppo presto, e che sia opportuno prima di fissare i tempi e i passaggi dell’articolo 244, fare una serie di valutazioni sia di diritto che contabili sull’autonomia di una città così grande e importante come Catania. Per il resto i tempi sono scanditi dall’articolo 244 – ha aggiunto Liotta – che prevede dopo la dichiarazione di dissesto l’insediamento di una commissione liquidatrice che si occupa della massa passiva relativa all’anno antecedente la dichiarazione stessa, mentre i consiglieri e l’Amministrazione democraticamente eletti dal popolo continuano la gestione corrente».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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