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Indagine su Salvini, gli atti a Palermo al Tribunale dei ministri

Di Redazione |

PALERMO – I pm di Agrigento, che hanno iscritto il ministro dell’Interno Matteo Salvini nel registro degli indagati per la vicenda della nave Diciotti, dovrebbero trasmettere mercoledì il fascicolo d’inchiesta alla procura di Palermo che dovrà poi «girare» gli atti al Tribunale dei ministri, competente visto il coinvolgimento di un membro dell’esecutivo. I reati contestati a Salvini, coindagato col suo capo di gabinetto, il prefetto Matteo Piantedosi, sono sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio.

La trasmissione degli atti al tribunale dei ministri dovrà avvenire entro 15 giorni dalla ricezione della carte dalla Procura di Agrigento.  L’organo collegiale ad hoc, composto dai gip Fabio Pilato e Filippo Serio e dal giudice del tribunale fallimentare Giuseppe Sidoti, estratti a sorte come prevede la legge, ha 90 giorni, compiute le indagini preliminari e sentito il pubblico ministero, per decidere se archiviare o trasmette gli atti alla Procura perché quest’ultima chieda l’autorizzazione a procedere al Senato visto che Salvini è un senatore.

Il tribunale dei ministri ha poteri istruttori e potrà dunque ascoltare testimoni, interrogare gli indagati, acquisire documenti.

L’indagine però non sembra preoccupare il ministro Salvini che su Facebook fa un ironico brindisi all’inchiesta agrigentina mentre si dice assolutamente «sereno, tranquillo e determinato», Matteo Piantedosi, capo di Gabinetto del ministro dell’Interno, che – secondo quanto riferiscono fonti vicine al capo di gabinetto – afferma di non essere «turbato» dall’indagine del pm di Agrigento. Il suo rapporto con Salvini, professionale e umano – aggiungono le stesse fonti – non è in discussione e si è addirittura rinforzato. Piantedosi è convinto che sull’affaire Diciotti non sia stata violata alcuna norma. 

La disposizione sarebbe stata data al telefono proprio da Piantedosi ai funzionari del Viminale. Ma la questione Diciotti è tutt’altro che semplice: a cominciare dagli aspetti relativi alla competenza a indagare. Il sequestro di persona si è consumato quando la nave si trovava a Lampedusa, dove è attraccata per far sbarcare i migranti ammalati e, per i pm di Agrigento poteva fermarsi per compiere le procedure di identificazione, o quando, dopo l’individuazione di Catania come porto sicuro, il Viminale avrebbe espressamente vietato lo sbarco? Un interrogativo che, a seconda della risposta, potrebbe spostare davanti al tribunale dei ministri etneo l’intero caso.

«La cosa certa è che il sequestro si perfeziona da quando viene impedito ai profughi di scendere dalla nave – dice l’avvocato Giorgio Bisagna, presidente dell’associazione avvocati dei diritti umani ed esperto di diritto dell’immigrazione – E’ importante capire dunque quando la disposizione è stata comunicata, quando cioè per la prima volta i migranti sono stati privati della libertà personale». Bisagna, che si chiede poi perché il porto sicuro sia stato individuato a Catania, quando Porto Empedocle era decisamente più vicino al primo attracco, pone anche un altro problema: «C’è un evidente danno erariale perché la Diciotti è stata per giorni ferma in porto e ‘distoltà dalla sua missione che è quella di soccorso», conclude. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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