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La voce dei lavoratori: «Vita privata sacrificata ma costretti a dire sì»

Di Pierangela Cannone |

Catania. Come si fa a metterci la faccia? Come si fa? Se oggi per molti il lavoro è un’utopia e, quelli che c’è l’hanno, devono tenerselo stretto. Devono, già. Devono serrare la bocca di fronte alle ingiustizie, stringere i denti per fare buon viso a cattivo gioco. Devono, devono, devono. Per tenersi lo stipendio.

Lavorano le domeniche e i festivi, scusandosi magari con le famiglie, in particolare con i figli, se ai loro compleanni spesso non ci sono, se a Ferragosto hanno fatto tardi, se per la vigilia di Natale arrivano a tavola per ultimi, se prenotano il cenone di San Silvestro nelle rosticcerie, mettendo da parte – a malincuore – la tradizione dei manicaretti, con tanto di jingle in sottofondo.

Perché è questa la quotidianità dei “forzati” dei centri commerciali, conosciuti come i signori “sorriso”, perché hanno il dovere di sorridere – eccome – di fronte ai clienti. E poco importa se è la ricorrenza dell’Immacolata, se è Pasqua o Pasquetta, se è la commemorazione dei defunti o la festa dei lavoratori: il lavoro chiama e si deve sorridere alla gente, nonostante tutto.

La chiamiamo Maria, ma «Non ci metto la faccia – dice la dipendente di una grande catena di supermercati – perché abbiamo il dovere di dire che tutto va sempre bene, ma non è così. O meglio, il lavoro c’è e, quindi, lamentarsi sarebbe da sciocchi… dati i tempi che corrono, ma il troppo è troppo». La fronte le si corruga e, senza che le si chieda altro, Maria ci spiega quella goccia che, una volta, fece traboccare il vaso. «Era il primo compleanno di mia figlia – prosegue – e, anche in quella occasione, ho dovuto portarla per tutto il giorno all’asilo nido. Ero di turno, a lavoro, e non ho trovato colleghi disposti a darmi il cambio. Sono andata dal direttore che, però, ha fatto spallucce anche lui. Il mio compagno lavora, grazie a Dio, e proprio quel giorno è rientrato prima, così ha potuto fare compagnia a nostra figlia, ma io non c’ero e abbiamo dovuto rimandare i festeggiamenti di ben due settimane. Mi rendo conto che queste sono futilità in confronto a eventi ben più importanti. Ma solo chi è madre può provare a capire la mia delusione».

Il racconto di Maria può bastare, perché i suoi problemi coincidono con quelli di migliaia e migliaia di altri dipendenti. Verrebbe da dire, per fortuna che il governo sembra stia pensando a imporre la chiusura festiva a tutte le attività commerciali… «Mi sembra giusto – afferma il signor Pippo Greco – almeno per i dipendenti…». «È giunto il momento di ripensare le piazze come spazi fisici di confronto – sostiene Giorgio Franco – e condivisione reale, mettendo nel dimenticatoio la desertificazione del centro cittadino». Rosario Di Mauro, tra l’ironia e la verità, esclama: «Sarei favorevole alla chiusura domenicale dei centri commerciali – dice – così mia moglie non mi stressa più… . Scherzi a parte, in questo modo i dipendenti potrebbero trascorrere più tempo in famiglia». Per la signora Silvia Scapellato: «La gente deve tornare a passeggiare nei luoghi veri e non nei “non luoghi”. La domenica è fatta per la famiglia: cinema, teatro, lettura… Ma il centro commerciale, proprio no!». «Un giorno di chiusura domenicale – esclama Salvina Basile – non creerebbe più povertà economica di quanta già non ce ne sia. Si tornerebbe a dare valore al tempo, donandolo a quanti amiamo».

Già… forse si tornerebbe davvero a dare valore al tempo.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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