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Catania, la Dda: «Ecco perché abbiamo confiscato i beni di Mario Ciancio»

Di Redazione |

CATANIA – «Il Tribunale, letti i documenti e ascoltate le argomentazioni del pm e della difesa, ha ritenuto che Mario Ciancio Sanfilippo sin dall’avvio della sua attività, nei primi anni ’70, e fino al 2013 abbia agito, imprenditorialmente, nell’interesse proprio e nell’interesse di Cosa nostra e che in ragione di ciò il suo patrimonio si sia implementato illecitamente, giovandosi anche di finanziamenti occulti e che anche il predetto sodalizio mafioso si sia rafforzato grazie ai fortunati investimenti realizzati per il tramite del Ciancio».

Lo ha detto il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, questa mattina durante una conferenza stampa convocata per illustrate il sequestro e confisca del patrimonio dell’editore catanese.

«L’età avanzata e il tempo risalente degli ultimi accertamenti (2013) hanno indotto il Tribunale – aggiunge – a escludere l’attualità della pericolosità sociale, ma tale conclusione, per disposto di legge, non consente al soggetto ritenuto pericoloso di continuare a detenere il patrimonio acquisito in ragione delle illecite cointeressenze, sicché il Tribunale ne ha disposto la confisca».

Mario Ciancio Sanfilippo – secondo i magistrati della Dda catanese – ha imposto «la linea editoriale della testata giornalistica con più lettori in Sicilia Orientale improntata alla finalità di mantenere nell’ombra i rapporti tra la famiglia mafiosa e le imprese direttamente o per interposta persona controllate dalla medesima».

Secondo la Dda etnea, Ciancio Sanfilippo con la linea editoriale tenuta non voleva «porre all’attenzione dell’opinione pubblica gli esponenti mafiosi non ancora pubblicamente coinvolti dalle indagini giudiziarie e soprattutto l’ampia rete di connivenze e collusioni sulle quali questo sodalizio mafioso poteva contare per mantenere la propria influenza nella provincia catanese».

I profili di pericolosità sociale evidenziati dal pubblico ministero attengono anche «all’impiego di grandi quantità di capitali di provenienza mafiosa investiti nelle iniziative economiche, anche di natura speculativa immobiliare, poste in essere nell’arco di numerosi decenni dal proposto».

Quest’ultima valutazione sulla pericolosità sociale è riferibile fino al 2013, quando è stato raccolto dai pm l’ultimo riscontro. E anche per questo motivo il Tribunale ha rigettato la richiesta di una misura cautelativa personale per Ciancio che era stata richiesta dalla Procura. Ieri sera l’imprenditore ha comunicato di avere lasciato dopo 51 anni la direzione della testata catanese, protestando la propria innocenza e la propria assoluta distanza dalla mafia.

Sebbene i magistrati dicano che  Ciancio «piegava alla sua volontà la linea editoriale» delle sue testate e sebbene dicano che questa linea «non era ostile alla mafia», nessuna delle cinque le vicende imprenditoriali nelle quali i giudici di Catania hanno individuato l’esistenza di rapporti tra Mario Ciancio Sanfilippo e ambienti di mafia riguarda in realtà le attività editoriali del gruppo.

Il caso più rilevante è infatti quello del centro commerciale Porte di Catania. Nell’affare della costruzione del centro Ciancio era socio, sostengono i giudici, di Giovanni Vizzini e Tommaso Mercadante, vicini a personaggi coinvolti in vicende di mafia. La realizzazione dell’opera venne poi affidata all’imprenditore Vincenzo Basilotta anche se vi era l’intenzione di coinvolgere Mariano Incarbone. Sia Basilotta che Incarbone sono indicati come vicini a Cosa nostra. Basilotta è morto mentre veniva giudicato per associazione mafiosa, Incarbone sarebbe legato al clan Santapola. Da intercettazioni emerge che «l’affare era infiltrato da Cosa nostra» e che Basilotta aveva «lucrato 600mila euro». Li aveva poi consegnati all’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo: sarebbe stato il compenso dell’interessamento di Lombardo al progetto al quale partecipava Mario Ciancio.

Tra gli altri affari imprenditoriali contestati all’editore, c’è anche il parco commerciale Sicily Outlet Village di Dittaino, in provincia di Enna. Oltre a essere proprietario dei terreni, Ciancio era socio della Dittaino Development che avrebbe affidato parte dei lavori a Basilotta e Incarobone.

Nel provvedimento dei giudici si fa riferimento ancora a tre progetti non realizzati: Stella polare; un insediamento residenziale a supporto della base di Sigonella; la costruzione del polo commerciale Mito. In tutti e tre i casi Ciancio era proprietari dei terreni. A Stella polare era interessato Incarbone come general contractor. Le residenze di Sigonella dovevano essere costruite da Basilotta. Al polo Mito con Ciancio erano interessate «altre persone in rapporti con Cosa nostra palermitana e messinese».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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