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La Corte d’Appello dice no alla Procura: «Siano restituiti i beni ai Niceta»

Di Redazione |

La corte d’appello di Palermo ha respinto la richiesta della Procura di sospendere, in attesa della definizione del processo di secondo grado, il dissequestro del patrimonio degli imprenditori Niceta disposto dalla sezione misure di prevenzione del tribunale.

La richiesta di bloccare la restituzione dei beni, stimati in circa 50 milioni, era stata avanzata dal pm Piero Padova, la scorsa settimana, contestualmente all’impugnazione della decisine del tribunale.

Il patrimonio, dunque, tornerà nelle mani dei Niceta. Nel restituire il «tesoro» milionario i giudici di primo grado avevano sostenuto che pur essendo Mario Niceta, capostipite della famiglia, un imprenditore mafioso che aveva operato grazie ai soldi e alla protezione di Cosa nostra, non era stato provato che l’apporto economico dei clan fosse proseguito a favore dei figli.

Secondo l’accusa i Niceta si rivolsero a Filippo Guttadauro, cognato del boss Matteo Messina Denaro, e quando questi era detenuto ai suoi figli, per realizzare un collegamento con Giuseppe Grigoli, prestanome del latitante di Castelvetrano, per avere la concessione degli spazi necessari all’apertura di due negozi. In cambio avrebbero assunto Francesco Guttadauro.

E’ quanto hanno scritto i giudici della corte d’appello di Palermo che hanno respinto la richiesta di sospendere la restituzione dei beni agli imprenditori Niceta avanzata dal pm nel ricorso contro il dissequestro degli stessi. Ma «l’accordo economico – proseguono i magistrati che ora dovranno valutare nel merito l’impugnazione del decreto del tribunale che ridà il patrimonio agli imprenditori – pur dimostrando ancora una volta la posizione di indiscutibile collateralità di Mario Niceta (capostipite della famiglia nel frattempo deceduto ndr) e dei suoi figli a noti esponenti di Cosa nostra, manifesta soltanto l’intento dei Niceta di espandere le proprie imprese commerciali anche fuori della provincia di Palermo e, al tempo stesso, l’interesse di Filippo Guttadauro e dei suoi figli a mediare per consentire l’apertura dei punti vendita per ottenerne vantaggi economici personali».

La corte, dunque, esclude che la condotta dei Niceta, che il pm giudica socialmente pericolosi, si risolva in un apporto individuabile alla vita della compagine mafiosa», «ossia al mantenimento e all’espansione del sodalizio mafioso, bensì un in un vantaggio economico personale per i figli di Guttadauro, senza che sia evincibile il soddisfacimento di ulteriori interessi della cosca mafiosa a cui i Guttadauro appartengono».

Per il collegio inoltre non è possibile ritenere che il finanziamento da parte di Niceta dell’inizio dell’attività dei figli sia avvenuto con risorse derivanti dalle attività economiche illecite.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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