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Reddito di cittadinanza, in Sicilia col nuovo Isee a una famiglia su 5

Di Michele Guccione |

PALERMO – La Svimez ha calcolato, secondo il parametro Isee fin qui noto di 6mila euro e gli 8 miliardi di stanziamento annunciati, che in Italia avrebbero diritto al reddito di cittadinanza 1,8 mln di famiglie, di cui il 63% residenti al Sud. Ieri l’Istat ha stimato che le famiglie in povertà assoluta siano 1,8 mln. I due dati coincidono. Ma c’è una sorpresa: ieri il Sole 24 Ore ha riferito che il M5S avrebbe annunciato online che la soglia Isee per l’accesso al reddito di cittadinanza sarà ben più alta: 9.360 euro. Il dato non è ancora ufficiale, però il quotidiano, prendendo in esame le dichiarazioni Isee del 2016, ha calcolato che in tutta Italia le famiglie che potrebbero accedere alla misura salirebbero a 2 milioni 558mila 300, il 9,8% del totale. Le province con maggiore concentrazione sul totale della popolazione sono al Sud, quelle siciliane figurano fra le prime 30 con una media di una famiglia povera su cinque: Palermo terza con 100.800 famiglie (20,5%), Caltanissetta quarta con 21.400 (19,8%), Catania settima con 80.300 (18%), Agrigento 13/a con 27.900 (16,1%), segue Trapani con 26.900 (15,9%), Siracusa 17/a con 24.800 (15,3%), Enna 21/a con 10.500 famiglie (15,1%), Ragusa 27/a con 16.800 (13%) e Messina 30/a con 33.400 (12,1%).

La Sicilia sarebbe la seconda regione per distribuzione della misura, dopo la Campania, con una cifra “monstre”: 342.800 famiglie, il 13,4% del totale. Se venisse confermata questa soglia Isee, l’asticella farebbe rientrare nel sussidio ben più delle 89.970 famiglie che fino allo scorso settembre, dato Inps, hanno avuto assegnato il Reddito di inclusione (Rei) o la carta Sia. E qui viene il vero nodo della questione: se già con un numero inferiore quattro volte i servizi dei Centri per l’impiego, dei Comuni e dell’Inps sono andati in tilt, come si può gestire una massa così ingente di soggetti da profilare, formare e avviare al lavoro?

Il rischio che sia un altro flop c’è, come osserva Gianni Bocchieri, docente di Politiche attive del lavoro all’Università di Bergamo: «Non stupisce il dato evidenziato dal Sole 24 Ore, vista la distribuzione dei redditi del Paese. Se, però, come è nelle intenzioni del governo, il reddito di cittadinanza non dovrà essere solo un sussidio, ma anche una politica di inserimento lavorativo, quello su cui si dovrebbe riflettere è lo stato dei centri per l’impiego, e la possibilità che riescano ad offrire fino a tre proposte di lavoro. Sarà in queste aree del Paese, infatti, in cui sarà più difficile garantire quella condizionalità per cui il sussidio è legato alla partecipazione a interventi di formazione o di percorsi di avvicinamento al lavoro. Il rischio è che, senza attuare la prevista e non più prorogabile riforma, il tutto resti un mero sussidio e che si ritorni agli anni dei Lavori socialmente utili che rappresentano grandi bacini di precariato che ancora si fatica ad assorbire proprio in queste aree».

In Sicilia c’è la peggiore situazione di partenza. Dall’assessorato regionale al Lavoro fanno sapere che la misura darà tempo tre mesi alle Regioni per potenziare i centri per l’impiego; ma, in attesa di conoscere lo stanziamento che Roma assegnerà alla Sicilia, ancora non è stato definito il fabbisogno di personale e di attrezzature informatiche. Nel frattempo, si cerca un dialogo con i Comuni, cui compete la messa a disposizione dei locali. Ebbene, sottolineano dall’assessorato, lo scorso 4 luglio, con sollecito qualche giorno fa, è stato chiesto un incontro, senza esito, al sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, per discutere della disponibilità di locali nei quali aprire una seconda sede del Centro per l’impiego, per cercare di smaltire le lunghe code già viste per il Rei. Il sindaco, come riferiscono dal Comune, aveva risposto verbalmente: «Parliamone, ma la situazione dei locali di proprietà comunale è complicata». Insomma, il percorso appare in salita.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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