5 dicembre 2025 - Aggiornato alle 07:29
×

«La Libia non è un porto sicuro», così la sentenza della Cassazione può cambiare la "gestione" del flusso dei migranti

Confermata la condanna del comandante del rimorchiatore che nel 2018 riconsegnò 101 naufraghi alkla Guardia costiera del paese nordafricano

Redazione La Sicilia

17 Febbraio 2024, 15:57

1620387038932_1620670228658-2

Libia, era una motovedetta donata dall'Italia quella che ha sparato ai pescherecci siciliani

La consegna di migranti alla guardia costiera libica è reato perché la Libia «non è porto sicuro». Lo ha sancito la Corte di Cassazione che ha reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28 che il 30 luglio del 2018 soccorse 101 persone nel Mediterraneo centrale e li riportò in Libia consegnandoli alla Guardia costiera di Tripoli.

Per la Suprema Corte favorire le intercettazioni dei guardiacoste di Tripoli rientra nella fattispecie illecita «dell’abbandono in stato di pericolo di persone minori o incapaci e di sbarco e abbandono arbitrario di persone». Nella sentenza viene sostanzialmente sancito che l'episodio del 2018 fu un respingimento collettivo verso un Paese non ritenuto sicuro vietato dalla Convenzione europea per i diritti umani.

Mediterranea: ora class action

«Con la sentenza della Corte di Cassazione, che ha chiarito in maniera definitiva che la cosiddetta «guardia costiera libica» non può «coordinare» nessun soccorso, perché non è in grado di garantire il rispetto dei diritti umani dei naufraghi, diventa un reato grave anche ordinarci di farlo, come succede adesso. Ora metteremo a punto non solo i ricorsi contro il decreto Piantedosi, che blocca per questo le navi del soccorso civile, ma anche una grande class action contro il governo e il ministro dell’Interno e il memorandum Italia-Libia». E’ quanto afferma Luca Casarini della ong Mediterranea Saving Humans.

«Dovranno rispondere in tribunale delle loro azioni di finanziamento e complicità nelle catture e deportazioni che avvengono in mare ad opera di una “sedicente" guardia costiera - aggiunge Casarini -, che altro non è che una formazione militare che ha come compito quello di catturare e deportare, non di «mettere in salvo» le donne, gli uomini e i bambini che cercano aiuto. La suprema corte definisce giustamente una gravissima violazione della Convenzione di Ginevra, la deportazione in Libia di migranti e profughi che sono in mare per tentare di fuggire da quell'inferno».

Casarini ricorda, inoltre, che la nave Mare Jonio di Mediterranea «di recente è stata colpita dal fermo amministrativo del governo per non aver chiesto alla Libia il porto sicuro. Proporremo a migliaia di cittadini italiani, ad associazioni e ong, di sottoscrivere la “class action”, e chiederemo ad un tribunale della Repubblica di portare in giudizio i responsabili politici di questi gravi crimini. Stiamo parlando di decine di migliaia di esseri umani catturati in mare e deportati in Libia, ogni anno, coordinati di fatto da Roma e dall’agenzia europea Frontex. E il ministro Piantedosi, proprio ieri, l’ha rivendicato testimoniando al processo a Palermo contro l’allora ministro Salvini. Lui si è costruito un alibi, con la distinzione tra centri di detenzione legali e illegali in Libia, dichiarando che «l'Italia si coordina con le istituzioni libiche che gestiscono campi di detenzione legalmente. Finalmente questo alibi, che è servito fino ad ora a coprire i crimini, è crollato grazie al pronunciamento della Cassazione. Adesso questo ministro deve essere messo sotto processo, perché ha ammesso di avere sistematicamente commesso un reato, gravissimo, che ha causato morte e sofferenze a migliaia di innocenti».

Fratoianni: consegnare migranti alla Libia è un crimine

«Avviso ai naviganti, ai ministri, e agli sciacalli che sulla tragedia dei migranti costruiscono propaganda tossica: facilitare la consegna di naufraghi alla Libia, che non è un porto sicuro, è un crimine. Noi lo sappiamo da sempre, ora però c'è una sentenza definitiva della Corte di Cassazione che lo stabilisce» ha detto invece il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra. «Io c'ero a bordo della Open Arms - prosegue il leader di SI - quando sentimmo le conversazioni radio del mercantile italiano Asso 28 che riportò a Tripoli 101 naufraghi, e insieme ad altri denunciai quello che era accaduto. Ora non ci sono più alibi o scorciatoie per le autorità italiane e gli apparati dello Stato nel come comportarsi nel Mediterraneo centrale. Se qualche politico continuerà a voler insistere con la propria cinica campagna elettorale - conclude Fratoianni - lo faccia pure ma non potrà piu nascondersi dietro qualche slogan».

Open Arms: basta finanziare la Libia

«Ora ci dovranno spiegare perché la nostra nave, la Open Arms, è stata fermata e multata per aver intralciato un presunto soccorso da parte dei libici e anche il ministro Piantedosi, che ieri a Palermo ha ribadito l’importanza del ruolo che hanno i libici, rivendicando l’aiuto economico e di addestramento dato da Europa e Italia, dovrà chiarire come può un Paese democratico continuare a finanziare milizie armate e rispettare la sua Costituzione» ha detto all’Adnkronos Veronica Alfonsi, presidente di Open Arms Italia, secondo la quale la sentenza della Cassazione, che ha reso definitiva la condanna del comandante del rimorchiatore Asso 28 che, dopo aver soccorso 101 persone nel luglio del 2018 li consegnò alla Guardia costiera di Tripoli, è «una sentenza importantissima».

«Stabilisce che la Libia non è un porto sicuro e che riconsegnare le persone alla cosiddetta Guardia costiera libica costituisce un reato - sottolinea Alfonsi -. Si tratta, infatti, di un respingimento, vietato dalla Convenzione di Ginevra". La presidente di Open Arms Italia assicura: "Noi andiamo avanti fiduciosi, la legge continua a essere dalla nostra parte. Difendere la vita dei più vulnerabili non è una scelta, è un obbligo morale e giuridico e dovrebbe esserlo ancora di più per i ministri del nostro governo».

Sos Mediterranee: Ong rispettano la legge

«La sentenza della Cassazione mette un punto fermo e conferma quello che le ong del soccorso in mare, gli osservatori internazionali e l’Onu dicono da anni, ossia che la Libia non è un porto sicuro» ha rilevato invece Valeria Taurino, direttrice generale di Sos Mediterranee Italia con l’Adnkronos. Per Taurino la sentenza contiene «un importantissimo riconoscimento. La Corte di Cassazione afferma il principio dell’illegalità dell’obbedienza agli ordini della Guardia costiera libica - sottolinea -. Tutti sanno che di recente siamo stati fermati per una 'presuntà disobbedienza agli ordini della cosiddetta Guardia costiera libica. Adesso con la sentenza della Cassazione è chiaro che le ong hanno sempre operato nel pieno rispetto della legge, mentre la legalità di altri disposizioni e di altre interpretazioni è quanto meno dubbia».

Sea Watch: crollato castello di carte

«Dalla Corte di Cassazione arriva una sentenza inequivocabile, la Libia non è un porto sicuro e chiunque consegni alle autorità libiche le persone salvate è perseguibile. Crolla il castello di carte costruito dalle politiche italiane ed europee che hanno istituzionalizzato la pratica dei respingimenti collettivi con l’accordo con la Libia del 2017» ha spiegato invece Sea Watch Italia. «In casi recenti - ricorda l’ong -, le navi della società civile sono state punite ingiustamente con fermi e sanzioni attraverso la legge Piantedosi, che vorrebbe imporre il coordinamento con la cosiddetta Guardia costiera libica, oltre a ridurre la presenza delle ong in mare. Ci aspettiamo che questo precedente abbia risvolti concreti». Per Sea Watch, dopo la sentenza della Cassazione devono «decadere le sanzioni e i sequestri delle navi umanitarie motivati dal mancato coordinamento con i libici e devono essere messi seriamente in discussione gli accordi Italia-Libia. È ora di dire basta alla complicità con la Libia nella violazione dei diritti umani. Non basta, inoltre, identificare la responsabilità di un capitano, che rischia di essere il capro espiatorio di politiche che fanno della delega delle proprie responsabilità sul soccorso in mare alla Libia una pratica affermata, in aperto conflitto con il diritto internazionale», conclude l’ong.