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Il botto dopo l’accumulo di energia e gli esperti avvertono: non è finita

Di Alfio Di Marco |

Più di 1.100 scosse di terremoto (quattro delle quali hanno toccato e superato magnitudo 4.0) in appena 55 ore; una violenta attività esplosiva dai crateri sommitali, con copiose emissioni di lava nella desertica Valle del Bove e colonne di cenere accompagnate da intensi boati; una marcata deformazione del suolo prima a livello sommitale, poi sul fianco orientale, soprattutto intorno a quota 1.700 metri: dopo lunghi mesi di calma apparente, l’Etna dà sfogo all’energia accumulata in lunghi anni di ricarica, provocando gravi danni ad alcuni dei centri abitati coinvolti dai fenomeni, mettendo in apprensione le popolazioni dell’area pedemontana, e facendo scattare lo stato di massima allerta di esperti e Protezione civile.

«La repentina risalita di un consistente flusso di magma dal profondo – spiega Eugenio Privitera, direttore della sezione di Catania dell’Ingv (l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia)-Osservatorio Etneo -, la mattina di lunedì 24 è andata a destabilizzare il precario equilibrio del complesso sistema di faglie che interseca l’edificio vulcanico, provocando un effetto domino, che continua tuttora. Il riassestamento delle faglie si traduce a sua volta nel rilascio d’energia che noi osserviamo, e subiamo, sotto forma di terremoti».

«Non solo – continua Privitera –: risalendo lungo i condotti centrali, il magma è arrivato fino in superficie dando vita a un’intensa attività stromboliana dal cratere di Sud-Est alla cui base si è aperta una frattura che si è allungata all’interno della Valle del Bove: qui, sempre nella mattinata di lunedì, si sono attivate più “bottoniere” (fessure effusive ed esplosive, ndr) dalle quali la lava è sgorgata copiosa, riversandosi sul fondo della Valle. Quarantotto ore dopo, tali fessure in apparenza sembrano aver esaurito la loro foga, ma le telecamere termiche ci dicono che l’area è ancora incandescente ed è possibile che la lava si sia ingrottata. Ne sapremo di più nelle prossime ore, quando i nostri ricercatori effettueranno un nuovo sorvolo in elicottero. Nel frattempo – puntualizza ancora Eugenio Privitera –, quietatosi il Sud-Est, l’attività esplosiva è emigrata all’interno della Bocca Nuova da dove emerge un’alta colonna piroclastica che sta provocando la ricaduta di cenere in tutta l’area pedemontana, arrivando sino a Catania e causando non pochi disagi al traffico aereo».

Ma non sono soltanto i terremoti e l’emissione di lava e cenere a tenere in apprensione gli esperti: «Un altro degli elementi che stiamo seguendo con la massima attenzione – continua il direttore dell’Osservatorio etneo – è la deformazione del suolo in atto da più di 24 ore sul versante orientale, in particolare nella zona di Piano del Vescovo, intorno a quota 1.700. Proprio in quest’area stiamo potenziando il sistema di monitoraggio con l’istallazione di altre 13 stazioni GPS mobili. La pressione del dicco all’interno dell’edificio vulcanico continua – la direzione è Sud-Sud-Est – e per questo motivo non possiamo escludere l’apertura di bocche a quote più basse. Dobbiamo comunque aspettare per ipotizzare scenari futuri. Due, al momento, le evoluzioni possibili: o l’eruzione si esaurisce, o si stabilizza magari con l’apertura di una fessura effusiva. Vedremo».

«Infine – conclude Privitera – vorrei smentire tutte quelle tesi che nelle ultime ore hanno messo in correlazione l’attività dell’Etna con lo Stromboli: non c’è legame alcuno. Si tratta di due contesti geodinamici diversi, con sistemi di alimentazione separati. L’Etna e lo Stromboli sono due vulcani attivi, ed è dunque alta la probabilità di fasi eruttive contemporanee. E poi: sullo Stromboli adesso non è in corso alcuna eruzione. A causa del flusso turistico di questo periodo, per ragioni di sicurezza è stato deciso di alzare il livello di allerta,. Diverso il discorso delle Salinelle di Paternò che nelle scorse settimane hanno fatto registrare una recrudescenza dell’attività. Ma lì siamo già in un contesto etneo caratterizzato da un’intensa risalita di gas».

A scendere ancora di più nel dettaglio sull’attuale attività dell’Etna è un altro studioso dell’Ingv, Mario Mattia, che da anni studia il complesso tettonico della Sicilia: «La mattina di lunedì scorso – spiega – la forte intrusione magmatica ha causato, in area sommitale, una deformazione di decine di centimetri. La sorgente era posta proprio sotto il cratere di Sud-Est, 400 metri sopra il livello del mare, con un’apertura notevole: tre metri. È stato questo dicco a risalire verso la superficie. Nelle ore successive il quadro è mutato: in area sommitale la deformazione si è arrestata, mentre ha cominciato a modificarsi una vasta porzione del fianco orientale, molto probabilmente come conseguenza della stessa intrusione di magma. Per fare un esempio pratico: è come se decine di persone salissero dalla porta posteriore su un autobus già affollato. Chiaramente, chi sta davanti, subendo una pressione, si sposta e si riassesta. Ecco: la stessa cosa sta accadendo alle strutture del versante orientale dell’Etna, là dove si concentra la maggior parte degli epicentri dei terremoti di questi giorni».

«Tutta questa attività – dice ancora lo studioso catanese – si sta sviluppando in un contesto tettonico molto complesso e fragile ed è per tale motivo che l’evoluzione appare quanto mai incerta. Non è la prima volta che accade: un esempio per tutti è l’eruzione del 2002, quando si attivò la faglia che tanta distruzione portò a Santa Venerina. Da lunedì a oggi abbiamo avuto più di mille scosse sismiche, delle quali due di magnitudo 4.0, una con magnitudo 4.3 e una, la più violenta, di magnitudo 4.8. In quest’ultimo caso, il punto focale si trova proprio lungo la faglia di Fiandaca, che storicamente ha provocato danni nei centri abitati che attraversa in profondità».

Proprio il paesino di Fleri fu colpito da un devastante sciame sismico nel 1984, al termine di una fase eruttiva del cratere di Sud-Est: allora le scosse più violente furono due, il 19 e il 25 ottobre. L’abitato di Fleri fu quasi interamente distrutto, con il 70 per cento delle case dichiarato inagibile.

«In queste ore – riprende Mario Mattia – gli scostamenti più marcati li stiamo registrando a Monte Fontane, a Pozzillo, a Santa Tecla, a Bosco di Aci (Santa Maria La Stella) dove si trova la struttura che l’altra notte ha seminato il panico: ben 6 centimetri, in direzione Nord-Ovest. A sua volta, la stazione di Santa Tecla si è mossa di due centimetri verso Est. Un quadro che rispetta la cinematica del terremoto che è stata di ‘taglio destro’, cioè con una “trascorrenza” verso destra».

«A questo punto – conclude Mario Mattia – fare previsioni è quanto mai arduo. Diciamo che teniamo i fenomeni sotto stretto controllo, ma di più non possiamo fare. Non siamo né tranquilli e nemmeno disperati. O si ferma tutto e tiriamo un sospiro di sollievo, oppure si va avanti. Come? Può darsi con un ritorno dell’attività in area sommitale, oppure con l’apertura di una o più bocche a quote più basse. Dipende dall’energia che ha il sistema».

E tra le aree tenute sotto stretta osservazione, visto anche la dislocazione del dicco magmatico, c’è la famosa fessura apertasi nel 1989, fessura che partendo dalla base del Sud-Est si allunga verso valle, arrivando sino al bosco del Salto del Cane, in territorio di Pedara. Frattura che negli anni è sempre stata sorvegliata speciale, a cominciare dalla grande eruzione del 1991-’93 quando la lava sgorgò proprio sull’alta parete occidentale della Valle del Bove, distrusse tutta la rigogliosa vegetazione della Val Calanna, fino a minacciare da vicino l’abitato di Zafferana.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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