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Sicilia, uno scarico su due va a finire in quel mare dove l’acqua non è più blu

Di Mario Barresi |

Un tuffo dove l’acqua (non) è più blu. L’ultimo bollettino di guerra arriva da Goletta Verde. Il tradizionale tour di Legambiente, quest’anno, fornisce dati ancora più impietosi: su 26 punti della costa siciliana monitorata, ben 17 presentano «cariche batteriche elevate, anche più del doppio dei limiti imposti dalla normativa». Il giudizio, in due parole: fortemente inquinato.

In provincia di Messina è risultato fortemente inquinato il prelievo effettuato alla foce del torrente (o Patrì) in località Cantone. Così alla foce del fiume Alcantara, in località San Marco, tra Calatabiano e Giardini Naxos. Nel Catanese bocciato lo scarico fognario all’inizio del Lungomare Galatea, ad Acitrezza, mentre è risultato nella norma quello alla spiaggia libera della Plaia. Stessa sorte, negativa, per il prelievo alla foce del canale Grimaldi, al Porto Grande (zona Pantanelli) di Siracusa. A Gela guai alla foce del fiume Gattano, in località Macchitella. Così come, nell’Agrigentino, la spiaggia a valle del depuratore di Licata e la foce del torrente Canzalamone in località Stazzone di Sciacca. A Palermo bocciati 5 campionamenti su 10; a Trapani 2 su 4. Sui 17 punti bocciati, «in ben dieci casi ci troviamo in prossimità di luoghi che registrano un’affluenza di bagnanti media e in alcuni casi addirittura alta, nonostante talvolta ci siano anche i cartelli di divieto di balneazione».

Fin qui il report di Goletta Verde. Gli altri dati, seppur non nuovi, sono altrettanto allarmanti. Il più macroscopico: le acque reflue dei centri abitati siciliani nella metà dei casi non vengono depurate. Nell’Isola uno scarico su due finisce in mare. Perché il depuratore è un miraggio per il 40% dei cittadini. A oggi, infatti sono solo tre milioni i siciliani serviti da un impianto di depurazione.

Ma nemmeno chi ce l’ha, l’impianto, può dormire sonno tranquilli. Il sistema di depurazione dell’Isola è obsoleto e inadeguato: riesce a rispondere ad appena il 54% del carico inquinante presente nelle acque refluo. Siamo gli ultimi, in Italia, in quanto a stato di salute della depurazione. Non a caso alla Sicilia si devono 244 delle 452 procedure d’infrazione dell’Unione europea. A fine marzo 2015 il conto da pagare ammontava già a 476 milioni di euro per l’Italia. Di questa somma quasi il 40% (185 milioni di euro) sarebbe a carico della Sicilia fino al completamento delle opere.

La Regione, grazie al sostegno di Palazzo Chigi, sta provando a metterci una pezza. E l’assessore Vania Contrafatto è stata nominata commissario straordinario per sbloccare quelle opere in assenza delle quali si pagano le multe. «Negli scorsi giorni – spiega l’assessore sono state sbloccate le gare che riguardano i primi interventi relativi ai comuni di Misterbianco, Palermo, Marsala e Carini, per un totrale di 245 milioni». Ma la struttura commissariale lavora alle prossime scadenze: «Entro la fine dell’anno contiamo di far partire altre gare, grazie al decreto che svincola dalla disponibilità di cassa la contabilità speciale per queste opere». Anche l’intricata situazione di Augusta (12 progetti, nessuno idoneo) verrà sciolta. «Il problema di prospettiva – rivela Contrafatto – è che nel sistema idrico integrato dovrebbero essere i gestori ad assicurare il servizio. E i Comuni che rivendicano l’autonomia di gestione non possono battere cassa. Da parte nostra c’è la massima disponibilità – conclude – come dimostra l’inserimento di altri 200 milioni per tutti i progetti cantierabili che siamo riusciti a far inserire nel Patto per il Sud».

Dove non arriva la politica, talvolta, deve pensarci la magistratura. Come ad Agrigento. Dove i pm, alla crociata contro l’abusivismo, hanno aggiunto quella contro l’inquinamento delle coste. Ma questa è un’altra storia.

Twitter: @MarioBarresi

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