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Battisti nel supercarcere a prova di evasione, ed ora nel mirino c’è Casimirri

Di Redazione |

ROMA – Era nascosto in un piccolo hotel, andava a fare la spesa al mercato e cucinava per i proprietari: Cesare Battisti era in Bolivia dal 16 novembre, un mese esatto dopo l’editto con cui il presidente brasiliano Bolsonaro annunciava la sua consegna all’Italia e un mese prima del mandato di arresto emesso dal Supremo tribunale Federal del Brasile. Con l’ex terrorista dei Pac ormai dietro le sbarre del carcere di massima sicurezza e a prova di evasione di Oristano, gli investigatori continuano a ricostruire i dettagli della fuga che dal Brasile lo ha portato a Santa Cruz de la Sierra dove sabato pomeriggio i poliziotti boliviani assieme a quelli italiani lo hanno bloccato mentre camminava un po’ alticcio e con in tasca solo 10 bolivianos, meno di un dollaro e mezzo. E, soprattutto, concentrano la loro attenzione sulla rete che per quasi due mesi lo ha protetto, incrociando dati, contatti, comunicazioni su Skype e Facebook, numeri di telefono e testimonianze raccolte dagli uomini sul campo.

LA FUGA. Il primo dato certo a disposizione è proprio la data d’inizio della sua fuga, il 16 novembre: Battisti arriva all’hotel “Cason Azul”, una pensione che dà poco nell’occhio. Gli italiani lo scoprono quando la sua fuga diventa ufficiale, il 13 dicembre: ma Battisti ha già lasciato l’albergo. A confermarlo agli investigatori è il proprietario. «E’ stato qui fino al 5 dicembre – dice – ha cucinato spesso per tutti e ha detto di essere brasiliano. Andava a fare dei giri nel mercato e tornava con la spesa». All’hotel gli investigatori arrivano grazie a due elementi. L’analisi dei dati estrapolati da una serie di telefoni sospetti, tutti apparecchi intestati a persone del suo entourage e che vengono messi sotto controllo a partire dal 16 ottobre su disposizione del pg milanese Antonio Lamanna. E grazie al codice Imei del cellulare di Battisti. Un elemento fondamentale perché, nel momento in cui viene acceso l’apparecchio, il software di localizzazione lo rintraccia, a prescindere dalla scheda sim che vi viene inserita.

LA RETE DI PROTEZIONE. All’inizio di dicembre l’ex terrorista dei Pac è dunque di nuovo sparito nel nulla, ma gli investigatori non mollano la presa. E grazie al sistema di localizzazione da un lato e alle comunicazioni via Skype e social dall’altro ricominciano a seguire gli spostamenti dei cellulari sospetti. Che danno delle indicazioni interessanti. Ad esempio il 15 dicembre uno di questi è segnalato su un volo da San Paolo a Sinop, una città del Mato Grosso. Altre tracce arrivano da Lucas do Rio Verde, a soli 150 km a sud di Sinop, sempre in Brasile, e il giorno dopo da Caceres, ultima grande città prima della Bolivia. E il 17 un’altra traccia viene registrata a San Matiàs, al di là del confine. Si tratta secondo i poliziotti dei possibili movimenti dei fiancheggiatori. «Crediamo – dice infatti uno di quelli che dall’inizio segue la vicenda – che Battisti non si sia mai mosso da Santa Cruz». Ma da chi è composta questa rete di protezione? L’analisi del telefono di Battisti, già in mano agli inquirenti milanesi, darà forse qualche risposta in più, anche per ricostruire chi e come ha finanziato la latitanza. Quello che già si conosce è il cerchio delle amicizie di Battisti: c’è l’ex parlamentare di sinistra Eduardo Suplicy e il sindacalista Magno de Carvalho, lo storico e scrittore Carlos Lungarzo e la sociologa Silvana Barolo. Oltre a diversi intellettuali, rappresentanti di associazioni di categoria e sindacati. E ci sono alcuni italiani, tra cui i suoi familiari.

LA “RICOMPARSA” E L’ARRESTO. La situazione si sblocca il 4 gennaio: quel giorno l’Imei del telefonino di Battisti “parla” e segnala la sua presenza di nuovo a Santa Cruz, nel barrio Ubarì. Due giorni dopo gli investigatori sono in città e con i colleghi boliviani cominciano a battere a tappeto hotel e pensioni del quartiere. Non trovano nulla ma sabato pomeriggio individuano una persona che sembra essere lui che cammina per le strade della città. Gli agenti lo filmano e il video viene spedito in Italia: la comparazione dell’arcata sopracciliare e dell’orecchio fornisce l’ultima risposta che manca. Battisti viene fermato e portato in caserma. Capisce che è finita ma continua a ragionare come un clandestino: quando gli chiedono se vuole andare a prendere le sue cose lui rifiuta e non rivela dove ha passato gli ultimi giorni, proteggendo chi lo ha protetto.

Ora, dopo la cattura e il ritorno nelle carceri italiane appunto di Cesare Battisti, nel mirino del Viminale e degli investigatori c’è soprattutto uno dei componenti del commando delle Brigate Rosse che sequestrò Aldo Moro, ovvero Alessio Casimirri, condannato all’ergastolo con sentenza definitiva e che nella sua latitanza in Nicaragua da oltre 30 anni ha acquisito la cittadinanza del Paese sudamericano, dove gestisce un ristorante sulla costa. «Stiamo lavorando per recuperare terroristi che se la stanno godendo in giro per il mondo», dice il ministro dell’Interno Matteo Salvini. E tra questi ci sarebbe appunto anche Casimirri. Il riferimento ad «un altro» latitante su cui la polizia ha il fiato sul collo è stato fatto proprio dal vice capo della polizia Nicolò D’Angelo. Durante il suo breve incontro ieri con il ministro dell’Interno all’aeroporto di Ciampino, subito dopo l’atterraggio dell’aereo con Battisti, il vice capo della polizia ha detto a Salvini: «Poi ce ne sarebbe un altro che forse ci rinnoverà gli auguri. Ce n’è uno che è una grande perla, mi è rimasto in gola ma abbiamo carte da giocare». Pronta la risposta di Salvini: «Posso immaginare a chi state pensando». Un breve scambio di battute davanti alle immagini della diretta Facebook del ministro che si è conclusa con la risposta di D’Angelo, preludio a possibili sviluppi investigativi: «Abbiamo delle idee».

Casimirri è la primula rossa che potrebbe ora finire nella rete degli investigatori, ma sono ancora tante le difficoltà che potrebbero essere legate all’estradizione dell’ex brigatista, la cui fuga e latitanza è in gran parte riconducibile a protezioni che gli sarebbero state accordate dal governo sandinista. Ad invocare la sua estradizione tra le prossime priorità è lo stesso Giuseppe Fioroni, presidente nella scorsa legislatura della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro, in una lettera al premier, ai due vicepremier e al ministro della Giustizia: «La questione riveste una straordinaria importanza, non solo per una doverosa esigenza di certezza della pena, ma anche per chiarire gli aspetti ancora oscuri del sequestro Moro e del terrorismo italiano», scrive l’ex parlamentare Pd.

Ma l’ex componente del commando del sequestro Moro non è l’unico a sentire il fiato sul collo. Salvini ha spiegato che dopo la cattura di Battisti si sta «lavorando su altre decine di terroristi: su alcuni abbiamo già riscontri positivi, ovviamente non entro nel merito dei nomi e dei luoghi».  Tra i terroristi italiani fuggiti all’estero, in tutto una cinquantina, ci sono Giorgio Pietrostefani, condannato a 22 anni per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi e Enrico Villimburgo, altro brigatista condannato all’ergastolo nel processo Moro-ter. Entrambi si trovano in Francia, così come Simonetta Giorgieri, leader delle Br toscane, condannata al’ergastolo per l’omicidio Moro. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA