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Il pm scaccia-veleni: «Qui l’aria è cambiata risposte ai cittadini»

Di Mario Barresi |

Siracusa. «L’aria è cambiata». Più che Archimede, qui c’entra Darwin. Perché a Siracusa – da un po’ di tempo e per dell’altro ancora – c’è uno specialista antimafia che ha dovuto imparare, presto e bene, a scacciare i veleni. Oltre che i fantasmi. Prima di tutto da “casa” sua, perché Fabio Scavone – procuratore facente funzione – ha ereditato un Palazzo ben più che lambito dagli schizzi di fango (e non solo) del cosiddetto “sistema Siracusa”. Giusto per fare un esempio: l’ex pm Giancarlo Longo, ha patteggiato cinque anni di pena e le dimissioni dalla magistratura nel processo per corruzione nell’ombelico degli affari di Piero Amara e Giuseppe Calafiore.

Ma questa è un’altra storia. E questo sarà pure il giorno dei veleni. Ma sono altri. Quelli del Petrolchimico di Siracusa. Calamìta, sessant’anni fa, per i campagnoli riconvertiti – e qui c’entra ancora Darwin, ma soprattutto la fame – in operai. E adesso calamità ambientale. Ma cos’è, oggi, questo “mostro” dell’inquinamento? «Un problema di una complessità estrema, perché riguarda più aspetti di un comprensorio vasto, circa 40 chilometri che comprende Priolo, Augusta, Melilli e la stessa Siracusa». Toccando terra, aria e acqua. Manca solo il fuoco: «Le questioni sul nostro tavolo riguardano l’inquinamento atmosferico, marino, terrestre e la dismissione di impianti industriali. E poi c’è una specie di indotto culturale: in un contesto degradato pullulano decine di discariche abusive. La gente, dove vede inquinato, si sente quasi legittimata a buttare qualsiasi cosa», dice Scavone.

I sigilli agli impianti, i 19 indagati per reati ambientali, le prescrizioni per rimettersi in regola (presto: entro 90 giorni il piano, «anche perché non si possono fermare da un giorno all’altro»; un anno per i lavori). «Un altro tassello» di un puzzle polverizzato. «Quest’indagine riguarda soltanto un segmento dell’inquinamento dell’aria. Non è un limite ma una necessità, per fare le cose per bene», afferma il procuratore. Consapevole, comunque, di aver dato una spiegazione alla domanda che i siracusani, nelle mattine in cui tira vento da Nord, si pongono da decenni: «Ma ‘sta puzza, cos’è?». La risposta, parziale ma già sostanziale, sta nel faldone con le perizie degli esperti che lavorarono al caso Ilva. «Cose noiosissime per voi giornalisti in cerca di scandali e intercettazioni, ma è un lavoro ben fatto», dice il procuratore. Quasi scusandosi di non essere «uno che cerca il titolo a effetto, o che fa interventi-spot». Niente proclami. Ma allora Scavone non è il nuovo Guariniello di Siracusa? La risposta è gelida: «Guardi che l’accostamento, sicuramente esagerato, non mi offende. Il collega Guariniello è una persona di grande equilibrio e di sostanza giuridica». E il lusso della soddisfazione di aver dato una speranza ai cittadini se lo concede o no? «Abbiamo cercato di dare una risposta. Senza la presunzione di dire: tutto risolto, adesso l’aria del Petrolchimico è pura!». C’è un nesso fra ciminiere e morti, fra inquinamento e tumori? «Una questione aperta. Un’altra delle domande a cui è nostro dovere dare una risposta. Ma non riguarda quest’indagine».

Una risposta. Non la prima, perché anche il predecessore, Francesco Paolo Giordano, aveva seminato molto. Né sarà l’ultima. Dopo «un fiorire di esposti, segnalazioni, denunce di cittadini e associazioni, anche troppe per riuscire a tenere il punto. E soprattutto con un livello di aspettative molto alto. Forse eccessivo». Con una stella polare-morale: la Procura non dichiara guerra ai petrolieri. «Svolgiamo il nostro ruolo, qui non ci sono predestinati sul banco dei colpevoli». Del resto, ammette, quelle ciminiere in uno dei litorali più suggestivi dell’Isola «non ce li ha portate nessuno con un’occupazione manu militari, ma sono arrivate con la promessa di benessere, ricchezza, lavoro».

È la storia, bellezza. La storia di una terra meravigliosa e maledetta. Ma anche «l’eredità di decenni in cui, in assenza di regole, ognuno si sentiva autorizzato a fare tutto ciò che voleva, compreso dare un cartone di latte come “integrativo” agli operai impegnati nei reparti più a rischio». Adesso, però, le regole ci sono. E a quanto sembra sono state platealmente violate. Senza che nessuno se ne accorgesse? Ci voleva, come spesso succede, l’intervento della magistratura per sanare una situazione che era davanti agli occhi (e soprattutto dentro le narici) di tutti? «Noi perseguiamo reati e non siamo i supplenti di nessuno», taglia corto Scavone. Pur ammettendo, a denti stretti, che «alcune inerzie, da parte degli organi di controllo di Ministero e Regione, sono riscontrabili». Ispra e Arpa sotto accusa? «Diciamo che ci vorrebbe una maggiore attenzione, oltre che un potenziamento».

Puzza, ma non soltanto. Perché in questa città – avvelenata da miasmi olfattivi e tossine politico-giudiziarie – il rischio è di diventare dei Don Chisciotte contro i mulini alimentati dal vento di inquinatori, affaristi, cementificatori, palazzinari. «È un problema di cultura, di comportamenti», è l’unica ammissione smozzicata dal procuratore. Quasi sussurrando, come esempio «la vicenda della discarica Cisma, ben gestita dai colleghi di Catania». E poi, in un sussulto sommesso, tornando alla cronaca viva nel ricordare che «fino a poco tempo fa gli interessi legali del gruppo Eni qui erano curati da un certo avvocato Amara». Un nome, una garanzia.

Eh, sì: è il momento di ammetterlo. «Questa Procura ha vissuto una stagione difficile», sospira Scavone. Ma ora è tutto alle spalle, «grazie a un gruppo di magistrati giovani, competenti e affiatati», ancorché costretti a sopportare «pesanti vuoti d’organico» oltre a «un’alta volatilità di colleghi che in media restano al massimo 5-6 anni». Giusto il tempo per specializzarsi «in reati di un tecnicismo estremo, come quelli ambientali» e lasciare che i nuovi ricomincino il training.

Allora quella contro i poteri forti è una battaglia persa in partenza? «No», risponde secco Scavone. Che si sente di rappresentare «una generazione che non ha bisogno di motivazioni per fare il proprio dovere». Magistrati che «non si sentono pervasi da alcuna missione», ma che allo stesso tempo «hanno la schiena abbastanza dritta da non cedere ad alcuna lusinga».

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