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Il sistema Montante e il “sigillo” del Riesame: «Fu associazione a delinquere, giusto il carcere»

Di Mario Barresi - Nostro inviato |

CALTANISSETTA –  È confermato (e non era scontato che lo fosse) che Antonello Montante possa essere ritenuto il capo di un’associazione a delinquere che quindi è configurabile (e non era scontato che lo fosse), così come è certificata (e non era scontato che lo fosse) la correttezza della misura cautelare emessa dal gip nell’operazione “Double Face”. Ieri è stato il giorno delle speranze che, per il momento, svaniscono: la difesa dell’ex leader di Confindustria Sicilia confidava molto nella pronuncia del Riesame di Caltanissetta, dopo che la Cassazione aveva accolto con rinvio il ricorso, limitatamente alla sussistenza del capo d’imputazione sul reato associativo. La Suprema Corte, nelle motivazioni della sentenza emessa lo scorso 21 novembre, aveva in pratica confermato l’esistenza del “sistema Montante”, descrivendo «l’assoluta centralità» dell’imputato «in grado di creare dal nulla un’allarmante e pervasiva rete illecita, giunta a penetrare non solo nei vertici delle forze dell’ordine in ambito locale, ma anche a livelli apicali di organismi istituzionali operanti a livello centrale». Ma la Cassazione aveva chiesto al Tribunale di fornire «risposta adeguata» ai «salti logici» e agli «indistinti automatismi», stabilendo appunto se il sistema costruito dall’ex leader confindustriale «si sia strutturato sotto forma di associazione» e, «in caso di risposta affermativa, quale sia stata la sua effettiva estensione».

E ieri il Riesame ha dato la sua risposta. Sciogliendo la riserva dopo l’udienza camerale (presidente Roberta Serio, relatore Mariaconcetta Gennaro, giudice Federica Amoroso), la sezione unica di Caltanissetta ha confermato l’ordinanza emessa dal gip Maria Carmela Giannazzo il 19 aprile 2018, culminata con l’arresto di Montante e dei suoi complici, ora a processo per associazione a delinquere finalizzata, fra l’altro, alla corruzione.

Che peso ha decisione di ieri? Notevole, perché blinda il procedimento a Caltanissetta (del resto la stessa Cassazione aveva definito «priva di fondamento» la questione di competenza territoriale), sbarrando la strada alle suggestioni di un processo-spezzatino. L’associazione a delinquere c’è e nella sua “ragione sociale” la sede è Caltanissetta. Ma, in attesa di conoscere le motivazioni del Riesame, la conferma della sentenza del gip – e dunque delle esigenze cautelari a carico di Montante, in quanto capo del presunto sodalizio – rafforza l’idea della Procura di Caltanissetta. E cioè di ricorrere in Cassazione contro la decisione (sempre del Riesame) di concedere all’imputato i domiciliari.

Ma ieri, nell’aula del tribunale nisseno, un coimputato ha segnato un significativo punto a favore: Giuseppe D’Agata. Per il colonnello dei carabinieri, ex capocentro della Dia di Palermo già ai vertici dei servizi segreti dell’Aisi, il Riesame ha annullato l’ordinanza del gip «limitatamente» al capo d’imputazione associativo e ne disposto la scarcerazione (l’ufficiale era ai domiciliari) con l’obbligo di dimora ad Aci Sant’Antonio e l’interdizione per un anno dai pubblici uffici. «Si tratta di una pronuncia di merito che ribalta la tesi d’accusa sostenuta dalla Procura nissena, che aveva strenuamente sostenuto una partecipazione del colonnello D’Agata alla ritenuta associazione a delinquere, tesi completamente sovvertita dalla Suprema Corte e dal Tribunale del riesame nisseno che confermano la bontà della tesi sin dal primo istante sostenuta dalla difesa», è il soddisfatto commento del collegio difensivo guidato dall’avvocato Mario Luciano Brancato, con Giuseppe ed Alfio Grasso.

Twitter: @MarioBarresi

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