Sanità siciliana: cosa sta succedendo tra la “grana” del nuovo nomenclatore tariffario e le “cambiali” con Roma
Cliniche e laboratori in rivolta per le nuove tariffe nazionali che la Regione non può toccare perché imprigionata dal piano di rientro
Napoli 04/03/2005 Scipoero dei medici. Adesione al 50% dei medici dell'ospedale Cardarelli di Napoli. A sciperare i medici degli ambulatori mentre sono state garantite le perstazioni d'emergenza.
Così è successo che - nella sanità siciliana ingessata dalla necessità di far quadrare i conti - il caso del famigerato nomenclatore mette a nudo la matrice di tutti gli affanni: il piano di rientro. Un tunnel dentro il quale la Regione “canaglia” (disavanzo pesante dovuto alle spese allegre e pessimi dati dei livelli essenziali di assistenza) è entrata nel 2007, senza mai più venirne fuori. Ora s’intravvede una fioca lucina, ma l’uscita, secondo i vertici della sanità siciliana, non potrà avvenire «prima della fine della legislatura». Cioè nel 2027. A precise condizioni. Dettate dal governo nazionale.
Partiamo dalla questione contingente. Che poi è un pasticcio tutto romano con pesanti conseguenze sui sistemi sanitari regionali. Tutto parte da un decreto del ministero della Salute, che - dopo un tira e molla con le Regioni risalente al 2023 - introduce dallo scorso 30 dicembre il nuovo “Tariffario delle prestazioni di Specialistica ambulatoriale e protesica”. Nel quale sono previsti tagli sulle prestazioni erogate dalle strutture convenzionate, con immediata rivolta di cliniche private e laboratori d’analisi. Segue un rapido balletto giudiziario: il Tar del Lazio sospende il decreto del ministro Orazio Schillaci, per poi fare dietrofront per la «dichiarata gravità delle conseguenze della sospensione del decreto che determinerebbero il blocco del sistema di prenotazione ed erogazione» dei servizi «con un impatto sulla salute dei pazienti».
Il caos
Ma la frittata è già fatta. Sistemi di prenotazione in tilt e privati che alzano il muro. Soprattutto in Sicilia, dove queste strutture coprono una notevole parte dell’offerta di prestazioni: il budget del 2024, fissato dall’assessorato alla Salute anche per tamponare le liste d’attesa negli ospedali pubblici, ammonta a 340 milioni (per laboratori di analisi, fisiokinesiterapia, cardiologia, radiodiagnostica e altre branche), 12 in più dell’anno precedente, a cui vanno aggiunti i fabbisogni specifici di radioterapia (35 milioni) e nefrologia (102 milioni). Il nuovo nomenclatore fa saltare tutti i conti. E le strutture private siciliane hanno proclamato lo stato d’agitazione, chiedendo «un incontro urgente» al governatore Renato Schifani e «l’apertura di un tavolo di crisi». Sbandierando alcuni esempi: il prezzo di una visita cardiologica di controllo si dimezza (da 12 a 6,30 euro), tagli anche sulle diagnosi del tumore alla prostata (da 7,41 a 3,95 euro) e del diabete (da 7,41 a 4,70 euro).
I tagli
In trincea c’è il Cimest, Coordinamento intersindacale della medicina specialistica del territorio, che contesta un tariffario «carente ed inadeguato, con macroscopici tagli che raggiungono in alcuni casi il 50% costringerebbe alla chiusura le nostre strutture». In ballo, secondo le associazioni di categoria, nell’Isola ci sono circa 10mila posti di lavoro. «Da oggi non potremo erogare diverse prestazioni sottocosto ad eccezione di quelle prescritte entro il 29 dicembre 2024 che prevedono tariffe non ribassate», la drastica scelta.
È chiaro che gli imprenditori sanitari giocano la loro partita a tutela anche del profitto. Ma in una terra in cui la bilancia delle prestazioni (per le consolidate carenze pubbliche) pende dal lato del privato, a pagarne le conseguenze saranno i cittadini che, al costo del ticket, usufruiscono di questi servizi. «Questi tagli impediranno alle strutture pubbliche e private accreditate di erogare servizi sanitari di qualità, congrui e capillari su tutto il territorio, ma anche di risolvere il problema delle liste di attesa». Per le quali, nel budget del 2024, la Regione ha riconosciuto una quota aggiuntiva di 8 milioni (fondi ancora «da accertare e redistribuire»), dopo i 15,5 attribuiti dopo la firma dell’accordo nell’anno precedente. La prossima settimana, come apprende La Sicilia da fonti dell’assessorato alla Salute, i rappresentanti di cliniche e laboratori saranno convocati per un incontro. Sul tavolo, oltre all’emergenza nomenclatore, anche le strategie sul budget biennale in prospettiva delle nuove regole di affidamento (una specie di “Bolkestein” introdotta per le prestazioni dei privati) in vigore dal 2027.
Il piano di rientro
Ma che c’entra il caso del nomenclatore tariffario con le “cambiali” che la sanità siciliana deve scontare con lo Stato? C’entra, eccome. Perché molte Regioni hanno risposto al provvedimento del governo con propri decreti che prorogano le tariffe in vigore. Il Veneto, ad esempio, ha deciso di mantenere i prezzi stabiliti lo scorso 15 novembre: per una risonanza magnetica al cervello sono riconosciuti 356 euro alle strutture rispetto ai 184 previsti dal decreto Schillaci. Un paracadute per le strutture convenzionate stimato in circa 100 milioni recuperati.
Perché il Veneto lo può fare e la Sicilia no? Perché la Regione - assieme ad Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise e Puglia - è appunto sottoposta al piano di rientro dal deficit sanitario. Doveva essere un “purgatorio” temporaneo (i primi accordi del 2007 prevedevano piani triennali), ma non è stato così. La Sicilia ha fatto passi avanti, mettendo i numeri sostanzialmente in equilibrio. Così è stato negli ultimi due anni, sacondo i dati dall’assessorato alla Salute. E non è una cosa da niente, visto che il bilancio della sanità siciliana nel 2024 ammonta a 10 miliardi e 391 milioni. Nonostante un sistema sanitario che letteralmente “costa quanto la Germania” (la spesa a circa il 10,5% del Pil siciliano, un dato assimilabile al 10,1% che l’Ocse attesta allo Stato tedesco, primo in Europa, a fronte di una media Ue del 6,8%, con l’Italia al 6,2%), negli ultimi anni i conti cominciano a tornare. La Sicilia, ad esempio, è stata l’unica Regione italiana a firmare accordi di mobilità (con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) per contenere i costi dei viaggi della speranza dei pazienti, con un risparmio di 26,5 milioni nel 2025.
I compiti a casa
Ma non basta. Perché per uscire dal piano di rientro bisogna fare tutti i compiti a casa. Ovvero: revisione della rete ospedaliera regionale (sui tavoli di Piazza Ziino c’è già una bozza avanzata; giovedì 9 gennaio i 18 manager di Asp e aziende ospedaliere faranno il punto con i vertici dell’assessorato), potenziamento della medicina territoriale (sulla quale pesa il rispetto dei tempi di completamento delle opere finanziate dal Pnrr: entro luglio 2026) e recuperare i pesanti ritardi sulla prevenzione, area in cui la Sicilia, secondo i dati del ministero, è terzultima a livello nazionale.
Qualcosa comincia a muoversi. Su un doppio binario. Quello politico, in cui il governatore Schifani ha già avviato un’interlocuzione con i due ministeri interessati (Economia e Salute); e quello tecnico, con il direttore del dipartimento Pianificazione strategica, Salvatore Iacolino, impegnato nella definizione del Pocs, il Programma operativo di consolidamento e sviluppo per il biennio 2025/27. Si tratta del principale dossier di aggiornamento della Regione rispetto al piano di rientro dal disavanzo. Dati consolidati e proiezioni per mostrare a Roma lo stato di salute della sanità siciliana. Dovrebbe essere firmato entro fine gennaio e ancora dall’assessorato non si sbilanciano. «Ma, finalmente, potrebbe essere l’ultimo», la speranza che filtra.