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Mafia, così gli “scappati” del clan dei Tuppi volevano riprendersi Misterbianco

Di Redazione |

CATANIA – Dopo tanti anni fuori dalla Sicilia volevano riprendersi Misterbianco le persone finite in manette nel blitz antimafia che i carabinieri di Catania hanno portato a termine questa notte. Devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidio, estorsione in concorso, furto, ricettazione e riciclaggio in concorso, detenzione e porto illegale di arma clandestina, trasferimento fraudolento di valori e corruzione, con l’aggravante del metodo mafioso, le 26 persone raggiunte da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal gip di Catania, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nell’ambito dell’operazione “Gisella” condotta dai carabinieri del Comando Provinciale di Catania.

Gli indagati vengono indicati come affiliati al clan dei “Tuppi”, operante nel territorio dei Comuni di Misterbianco e Motta Sant’Anastasia, attualmente confederato alla famiglia mafiosa dei Mazzei, storicamente affiliata a Cosa nostra. Il provvedimento trae origine dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Luciano Cavallaro, esponente storico del gruppo mafioso dei “Tuppi”, già fortemente radicato sul territorio di Misterbianco a partire dagli anni ’80 (periodo nel quale era affiliato alla famiglia mafiosa dei “Cursoti”) e particolarmente attivo nella gestione delle illecite attività, in concorrenza con il gruppo del “Malpassotu”, articolazione della famiglia Santapaola, facente capo a Giuseppe Pulvirenti. 

Da tale contrapposizione sul finire degli anni Ottanta scaturì un conflitto, finalizzato al controllo del territorio, che vide soccombere il gruppo facente capo a Mario Nicotra, detto “Mario u tuppu” (dalla particolare acconciatura “a chignon”) ucciso il 16 maggio 1989, motivo per il quale gli esponenti dei “Tuppi” furono costretti ad emigrare in Toscana, tanto che furono definiti anche “gli scappati”.

La cruenta guerra tra i due gruppi ed i numerosi omicidi che ne scaturirono sono documentati dalle dichiarazioni di numerosi pentiti provenienti dal clan del “Malpassotu” e dalle conseguenti sentenze già emesse nei confronti della citata famiglia mafiosa avversaria.

Al fine di riscontrare le dichiarazioni del collaboratore Luciano Cavallaro, su delega della Procura Distrettuale, è stata avviata un’indagine che ha riscontrato l’attuale operatività della famiglia mafiosa dei “Tuppi” che, rientrata a Misterbianco dopo che il clan “Malpassotu” era stato debellato dalle numerose iniziative giudiziarie, alleatasi con la famiglia dei “Mazzei”, sarebbe rimasta ad operare sul territorio di Misterbianco. 

Le indagini hanno consentito di ricostruire l’attuale organigramma del clan dei “Tuppi”, che vede al vertice l’anziano e carismatico Gaetano Nicotra, detto “zio Tano”, fratello di Mario Nicotra, coadiuvato, nella gestione degli affari e nel governo dei singoli affiliati, dal fidatissimo Antonino Rivilli. 

Anche il nipote Tony Nicotra, ritornato in libertà dal 17 febbraio 2017, avrebbe ripreso il controllo della cosca e si sarebbe avvalso della “collaborazione” del giovane fratellastro Gaetano Nicotra, del “figlioccio” Carmelo Guglielmino, sempre attivamente impegnato a “sbrigare” le “beghe sul campo” e di Daniele Musarra Amato. Alle strette dipendenze di Rivilli e di Tony Nicotra avrebbe operato, poi, il “gruppo di Motta Sant’Anastasia”, capitanato da Daniele Distefano, detto “Minnitta”, che, a sua volta, si sarebbe avvalso dell’opera del fratello, Filippo Distefano, e dei “soldati”, Filippo Buzza, Domenico Agosta, Gaetano Indelicato, Francesco Spampinato e Giuseppe Piro.

Il materiale probatorio acquisito dagli investigatori ha consentito agli inquirenti di contestare, per la prima volta, al gruppo dei Nicotra i reati di associazione mafiosa ed altri reati, tra i quali l’omicidio del politico Paolo Arena, anche ai capi ed affiliati del gruppo dei “Tuppi” che, a causa dell’allontanamento in Toscana, finora non era stato sottoposto a procedimenti per mafia per i fatti riguardanti Misterbianco. Per festeggiare Tony Nicotra, 53 anni, figlio di Mario e boss del gruppo, nel marzo 2017 gli affiliati sono andati a trovarlo in una villa di Misterbianco: l’’omaggiò è stato ripreso da telecamere dei carabinieri, così come i rituali fuochi d’artificio esplosi in onore del capo ritornato. 

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Attività preminente del gruppo di Motta, capeggiato da Daniele Distefano, era invece quella dei furti di veicoli agricoli perpetrati in danno di aziende ubicate nelle provincie di Catania ed Enna, furti finalizzati a richieste estorsive avanzate nei confronti degli interessati per la restituzione dei mezzi. Trascorsi tre giorni senza che qualcuno avesse fatto richiesta di restituzione del mezzo, si procedeva alla vendita del veicolo mediante intermediazione di soggetti incaricati da Daniele Distefano o dal suo “braccio destro” Filippo Buzza, dove uno dei due interpellava telefonicamente i mediatori utilizzando una terminologia allusiva e trasmettendo, tramite l’applicazione “Whatsapp”, le fotografie scattate ai mezzi per potenziali acquirenti. Venivano utilizzate Sim card intestate a soggetti extracomunitari o dell’Est europeo mediante il cosiddetto metodo “citofonico”, per effettuare conversazioni “dedicate”.

Le indagini hanno documentato come i componenti del clan erano molto attivi nel rilevare attività economiche riconducibili a terzi che hanno maturato debiti nei loro confronti come: la macelleria di Piano Tavola il cui gestore era sottoposto ad usura ed estorsione, motivo per il quale era fuggito a Malta e il Night Red Lips, un locale di intrattenimento, mascherato da associazione culturale.

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