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L'intervista

Morra a “La Sicilia”: «Il caso Montante come la Trattativa, traditori dello Stato»

Di Mario Barresi |

Nicola Morra, di recente ha chiesto alla Procura di Caltanissetta le carte dell’inchiesta su Antonello Montante. Cosa ne farà la commissione Antimafia di cui lei è presidente?«La commissione vuole seguire con attenzione il processo Montante e per farlo bisogna sempre studiare la documentazione, altrimenti si fa mera opinione. Vogliamo comprendere e approfondire quello che consideriamo uno dei processi più importanti al momento che si sta svolgendo in Italia e su cui, a mio parere, c’è troppo silenzio da parte della politica e dell’informazione generalista. Inoltre, è un segnale di vicinanza all’eccellente lavoro che sta svolgendo la procura di Caltanissetta, sia i magistrati sia le forze di polizia giudiziaria».

Lei è uno dei pochi esponenti politici e istituzionali nazionali che ha parlato dell’argomento, denunciando il silenzio che sembra circondare il sistema Montante. Perché tutti zitti? Ritiene che l’imbarazzo sia legato a legami che potrebbero dimostrare la sopravvivenza del sistema?«Il silenzio sul caso Montante si spiega facilmente: basta leggere i nomi eccellenti coinvolti nell’inchiesta. Sia i nomi di coloro che sono direttamente a giudizio nel processo, sia quelli di coloro che, pur non essendo a processo, hanno avuto favori e raccomandazioni, rapporti stretti soprattutto dopo che la notizia dell’inchiesta è diventata di dominio pubblico. Troppe relazioni complici e interessi che non possono e non devono essere taciuti. Non mi rende felice l’essere uno dei pochi politici che dà voce a questo processo, anzi mi preoccupa. E colgo l’occasione per sottolineare il prezioso lavoro svolto da Claudio Fava, presidente della commissione Antimafia della Regione Siciliana che ha stilato una relazione importante che dovrebbe suscitare veramente lo sdegno di tanti, ma purtroppo ancora una volta solo silenzio».

Ha pure affermato che non bisogna «lasciare isolata la Procura di Caltanissetta». C’è davvero questo rischio di solitudine dei pm? Perché?«Perché la storia recente dell’Italia ha come cifra stilistica quella di invocare la lotta alla mafia, di invocare la lotta ai poteri forti corrotti, poi, quando una procura raccoglie prove e porta sul banco degli imputati i colpevoli, ecco che dalle parole si passa all’imbarazzo e poi all’isolamento. In questo processo sul banco degli imputati abbiamo interi pezzi di Stato, di apparati che dovrebbero lavorare per i cittadini e non il contrario. In questo processo sono evidenti le trame torbide di interi pezzi di Stato che hanno tradito, e naturalmente sono molto preoccupato che la procura rimanga isolata, anche perché il ministero dell’Interno non si è costituito parte civile, un segnale grave».

Appunto. “La Sicilia” sollevò molto tempo fa questo scandalo che poi finalmente è emerso a livello nazionale: il Viminale non s’è costituito parte civile contro Montante, mentre l’Avvocatura sostiene – con i soldi dei cittadini – la difesa di Cavacece, uomo dei servizi fra gli “spioni” imputati. Non le sembra una scelta sbagliata?«È una scelta sbagliata, senza ombra di dubbio. Un processo ci dirà se Cavacece è innocente o colpevole, ma il ministero dell’Interno su impulso della Presidenza del Consiglio doveva dare il via libera alla costituzione di parte civile. Abbiamo avuto anche un incontro in tempi rapidissimi con l’Avvocatura di Stato, che ha dimostrato grande professionalità, ma la spiegazione non regge: “Non ci si può costituire parte civile perché abbiamo già assunto la difesa di Cavacece”. Tecnicamente è corretto, ma qui era necessario fare una scelta politica: Cavacece si difende da solo, e il ministero dell’Interno si costituisce parte civile. Sic et simpliciter. Andrò a fondo per capire chi ha dato determinate indicazioni. Teniamo presente che la difesa di Cavacece viene assunta dall’Avvocatura a maggio del 2018 quando ancora non si era formato il nuovo governo. Chi ha dato questa indicazione e perché?».

Ha annunciato che anche il ministro Salvini sarà audito sul tema a Palazzo San Macuto. Per chiedergli cosa?«Il ministro dell’Interno deve essere ascoltato in Antimafia essendo titolare del Viminale, così come i vertici delle forze di polizia, carabinieri e finanza. È normale che un ministro dell’Interno venga audito per fare il punto della situazione nella lotta alla mafie e le diverse problematiche che sussistono».

La commissione regionale di Fava ha sentito anche l’ex ministro Alfano che nominò Montante al vertice dell’Agenzia dei beni confiscati alla mafia poco prima che emergesse l’indagine per mafia. Davvero poteva non sapere? E, in ogni caso, non sarebbe stato opportuno rimuoverlo?«Il ruolo di Alfano deve essere chiarito, ma non solo il suo. L’acquisizione delle carte da Caltanissetta è solo il primo passo. È necessario che la commissione nazionale Antimafia svolga una sua relazione su Montante e i suoi complici».

Dalla relazione della commissione regionale Antimafia emerge una rete di protezioni e di complicità che va ben oltre lo Stretto. Non ha l’impressione che Montante, alla fine, sia stato un pezzo di un ingranaggio che magari continua a funzionare dopo aver riparato il “guasto””?«Mi auguro di no. Anche se la sua suggestione contiene un fondo di verità. Quando sullo sfondo abbiamo una banca di sistema come Banca Nuova che ha in sé la “contabilità” dei servizi segreti, quando abbiamo un finto paladino dell’antimafia che invece mette in gioco il vero movimento antimafia, quando abbiamo una confusione tale dei ruoli, ecco che basta riparare il pezzo rotto e andare avanti, ma così non deve accadere. Il processo Montante è importante tanto quello della Trattativa, perché finalmente lo Stato ha il coraggio di processare se stesso».

Nel fascicolo nisseno, ma anche in alcuni approfondimenti giornalistici, fa capolino anche l’intercettazione della telefonata fra Napolitano e Mancino. Pensa davvero che il sistema Montante sia stato così potente e radicato da mettere le mani su un atto secretato dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia?«Penso che sia molto probabile. Ma, oltre ciò che personalmente penso, sono le carte processuali che, con grande difficoltà, stanno ricostruendo una realtà dei fatti. La telefonata Mancino-Napolitano usata come arma di ricatto, come strumento per fare carriera, come dimostrazione di forza e quindi la possibilità di inquinare rapporti istituzionali e anche le stesse istituzioni, probabilmente diventerà una verità processuale accertata».

Politici, pezzi delle istituzioni, imprenditori, giornalisti. Ma nel sistema Montante, al netto dell’archiviazione di un’inchiesta penale a Catania e di un procedimento al Csm, c’è anche una certa responsabilità dei magistrati. Che idea s’è fatto?«Le responsabilità penali sono personali. È evidente che partendo in primis da pezzi della politica, nel sistema Montante si ripete lo schema classico della storia di questo Paese: una parte di Stato che tradisce il proprio mandato. Quindi non voglio fare distinzioni tra categorie, ma tra donne e uomini che rimangono fedeli al giuramento fatto alla Repubblica e altri che invece disonorano questo giuramento».

Taormina, fra gli avvocati di Montante, dopo aver perso la battaglia sul trasferimento del processo da Caltanissetta, ha presentato un esposto al ministero della Giustizia chiedendo un’ispezione al Tribunale nisseno. Solo schermaglie processuali o c’è davvero un problema ambientale? «Ognuno fa il suo lavoro, e un avvocato difensore lo fa nell’interesse del suo assistito. In questo caso Taormina difende gli interessi di Montante».

Confindustria, nelle carte del processo e in alcune inchieste giornalistiche, viene fuori come un’associazione in cui il sistema Montante la faceva da padrona, eppure – fra garantismo e imbarazzo – non sembra ci siano forti segnali di discontinuità. Non è un punto debole per chi vuole rappresentare la parta sana dell’imprenditoria?«Confindustria, oltre che giustamente svolgere un lavoro di pungolo sulle questioni economiche – non passa giorno che non abbiamo le loro dichiarazioni sui giornali – dovrebbe veramente porsi seri interrogativi. Montante era leader di Confindustria Sicilia. Montante ha piazzato suoi uomini ovunque, e non credo che per il semplice fatto che Montante sia a processo sia finita la sua influenza o tutti i suoi uomini siano stati rimossi. Credo che Confindustria deve fare pulizia al suo interno, e anche tanta. Così come la politica, le forze dell’ordine, la magistratura. Ora decidiamo da che parte stare».

Presidente Morra, ha espresso «tanti dubbi» sull’archiviazione del tentato attentato ad Antoci. Da cosa le derivano?«È un caso complesso, definito come il peggior attentato dopo le stragi del 1992-93 eppure tutto è stato archiviato. Chi sono stati i mandanti? Chi sono stati gli esecutori? L’archiviazione che ho studiato pone interrogativi che credo debbano avere delle risposte».

Fra gli indagati in un filone dell’inchiesta di Caltanissetta c’è l’ex senatore Lumia. L’Antimafia dell’Ars, nella relazione finale sul sistema Montante, è stata molto dura nei confronti del suo predecessore al vertice di Palazzo San Macuto. Pensa che Lumia abbia avuto responsabilità?«Il ruolo di Lumia viene ben definito nella relazione di Fava. Ci sono le responsabilità penali e quelle politiche. La Sicilia soffre di terribili mali da decenni, e nessuno ne è mai responsabile. Grandi interessi, profonde trame, una banca dei servizi segreti che prende piede proprio in Sicilia, antimafia di facciata, Confindustria in mano a un personaggio come Montante che faceva e disfaceva. Lumia non può essere scevro da responsabilità politiche».

Il processo a Montante, ma anche quello a Saguto dopo la caduta di altri “semidei” dell’antimafia. L’opinione pubblica, in Sicilia, è disorientata. E il rischio è che i mascariamenti danneggino chi si batte davvero per la legalità. Non ritiene che ci sia bisogno di una “rifondazione” dell’antimafia? Da chi e da dove si può ripartire?«L’antimafia è un azione quotidiana, seria, determinata e morale. Non deve essere rifondata, ma praticata. Anche per questo ringrazio la magistratura nissena che ha svelato la menzogna. C’è troppa antimafia di facciata, antimafia usata come vessillo per beneficio personale. Ma il tempo è galantuomo e chi usa questo tema così importante per tornaconto personale verrà scoperto. Io dedico la mia attenzione a chi svolge antimafia quotidiana sui beni confiscati, alle piccole e grandi realtà che con determinazione costruiscono un domani migliore. Senza retorica e falsi martiri, ma con il lavoro».

L’inchiesta per concorso esterno su Montante resta aperta. Nella terra in cui si dà la caccia a Messina Denaro non può essere un monito sul cambio di sembianze e di “core business” di Cosa Nostra? «Se vogliamo credere che la mafia sia un uomo con la coppola e la lupara nascosto in una grotta facciamo un favore alla mafia. La mafia ha fame di economia legale dove nascondersi e assoggettarla a propri interessi. Le inchieste della magistratura stanno puntando nella giusta direzione, nella terra che dà la caccia a Matteo Messina Denaro bisogna capire dove riesce sempre di più la loro forza economica e di relazioni».

L’Ars, oltre a non applicare il taglio dei vitalizi, s’è finora rifiutata di applicare lo spazza-corrotti in materia di trasparenza dei candidati. La Sicilia è destinata a restare “repubblica autonoma” della casta e dei politici non al di sopra di ogni sospetto?«Mi auguro che ci sia un cambio di passo. Ribadisco un concetto, la Sicilia è una terra meravigliosa da ogni punto di vista, una terra ricca di cultura e tradizioni immersa in una bellezza inenarrabile: merita di essere maltratta, vessata dagli interessi di pochi, da una mafia che si arricchisce e costringe all’emigrazione i siciliani? Merita una classe politica chiusa nelle stanze a ingrassare mentre fuori si muore di fame?».

Gli esponenti siciliani del M5S attaccano duramente il governatore Musumeci per le indagini che hanno coinvolto assessori e deputati regionali del centrodestra. Ce n’è abbastanza per parlare di una questione morale nell’Isola?«La questione morale dovrebbe tenerci svegli anche la notte, e non solo a una parte politica ma a tutti noi che ricopriamo ruoli istituzionali. Mentre noi parliamo per questa intervista c’è un padre di famiglia che fa salti mortali per portare il pane a casa, ecco a questo padre alla sua famiglia la politica deve sempre rispondere moralmente e poi legislativamente». Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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