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Infiltrazioni mafiose, non solo Misterbianco: anche il Comune di Adrano sott’osservazione

Di Mario Barresi |

CATANIA – L’ultimo (di una lunga sere) era Trecastagni. E adesso nel Catanese le “bandierine” dello scioglimento per infiltrazioni mafiose sventolano su due comuni. Ma è finita qui? In attesa di conoscere i contenuti della relazione che ha portato al provvedimento del governo su Misterbianco, c’è una pista – appena sussurrata – che porta a pochi passi di distanza.

Ci sarebbe certo interesse per capire «alcune dinamiche» che riguardano Adrano. Che fu già, il 30 settembre del 1991, fra i cinque comuni siciliani nella “lista nera” nel primo maxi-decreto di scioglimento. Ironia della sorte, anche all’epoca c’era lo stesso sindaco di oggi: Angelo D’Agate, estraneo alle dinamiche ieri come oggi. Il ministro dell’Interno era il democristiano Vincenzo Scotti, che nel decreto certificò la «presenza del noto esponente della mafia locale, Antonino Monteleone, considerato fortemente influente in ambienti comunali ove esercita, insieme al suo braccio destro Giuseppe Caruso (in un successivo decreto del Viminale il nome, inizialmente errato, fu corretto in Salvatore Caruso, ndr), entrambi, contigui alla famiglia mafiosa dei Santangelo, un potere di fatto di notevole portata, riuscendo a condizionare ed intimidire il consiglio comunale attraverso alcuni amministratori a lui legati». In quell’atto anche i nomi di quattro politici dell’epoca (Pietro La Mela, Pietro Reina, Pietro Trovato e Giovanni Sciacca), i quali – secondo un rapporto del questore di Catania del 3 luglio 1991- «risultano collegati al detto pregiudicato» Monteleone. E il ministro Scotti annotò anche «un ancor più grave stato di immobilismo e di inerzia» dell’amministrazione comunale che «non ha infatti assunto alcuna iniziativa volta a superare le gravissime e reiterate carenze che si registrano nella gestione pubblica dell’ente».

Corsi e ricorsi storici. Oggi a far discutere è l’inchiesta per corruzione elettorale che ha coinvolto i consiglieri comunali Federico Floresta e Maria Grazia Ingrassia. Le indagini sono partite proprio da accertamenti legati a una delle cosche mafiose che operano nel comune etneo. Poi la polizia, intercettazione dopo intercettazione, ha scoperto «nel periodo antecedente all’elezione per il rinnovo del consiglio comunale di Adrano» che gli indagati avrebbero creato «una rete di soggetti che, in cambio di somme di denaro, avrebbe dovuto agire sul territorio per procacciare voti in favore» di Floresta e Ingrassia. Così si legge nell’avviso di conclusione indagini firmato dal procuratore aggiunto Francesco Puleio e dal pm Giuseppe Sturiale.

I due consiglieri e Antonio Furnari (marito di Ingrassia) sono accusati di associazione a delinquere finalizzata «alla corruzione elettorale e al mercimonio del voto». I due politici, fin da subito, hanno respinto le accuse. E, nonostante il pressing sulle dimissioni, sono rimasti seduti al loro posto. «Certi della propria innocenza» e «fiduciosi dell’operato della magistratura», Floresta e Ingrassia hanno chiesto alla Procura di essere interrogati per chiarire tutto.

Ma non c’è solo quest’inchiesta a far tremare il municipio adranita. Ritenute «molto rilevanti» anche le dichiarazioni del pentito Nicola Amoroso, comparse a pagina 23 del primo “verbale illustrativo di collaborazione”. Un atto super segreto, del 3 settembre 2018, in cui l’ex esponente del clan Scalisi di Adrano fa il nome di un consigliere comunale in carica.

Al di là dei profili penali, c’è anche materiale sufficiente per ipotizzare un accesso antimafia? A Palazzo Minoriti c’è il massimo riserbo. Ma fonti leghiste qualificate rivelano che, lo scorso dicembre, pochi giorni dopo lo scandalo di Misterbianco, nel corso di uno scambio di saluti tra l’allora sottosegretario agli Interni Stefano Candiani e i vertici della Prefettura qualcuno avrebbe pronunciato questa frase: «Un occhio diamocelo anche ad Adrano». Il che è confermato, a Roma, da esponenti di spicco del Viminale a guida salviniana: Adrano «era attenzionato». E, forse, lo è ancora.

Twitter: @MarioBarresi

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