L'inchiesta
A spasso col “regista” Totò cene romane, caffè al bar e quell’ipotesi di tangente
Cuffaro avrebbe avuto una terza talpa a informarlo su possibili indagini La soffiata sulle cimici negli uffici regionali: «All’assessorato non ci sono andato più». E poi le microspie registrano il conteggio di denaro: «Venti, cinque... ma sono assai!»
Totò Cuffaro avrebbe avuto più di uno “(s)pifferaio” magico. Ma nonostante il sospetto di essere sotto l’attenzione degli investigatori avrebbe continuato a dirigere l’orchestra dei bandi e degli appalti pubblici. In via Scaduto a Palermo è un via vai di dirigenti, politici, manager. Tutti che vogliono «incontrare» Totò anche solo per dargli un «bacio». Come diceva una donna che aveva avuto la possibilità di poter conoscere l’ex governatore siciliano. I carabinieri del Ros hanno seguito Cuffaro per mesi. Fino a Roma dove c’è stata la cena con Filippo Paradiso, l’ex poliziotto che da quello che emerge dalle intercettazioni citate nelle carte della procura avrebbe in qualche modo “allertato” il leader della Nuova Dc a stare attento. Ma il legale di Paradiso non è per nulla d’accordo con la ricostruzione. «Definire "talpa" un ex appartenente alla polizia di Stato, da cui è fuori dal 2022, rappresenta una lesione alla sua immagine e dignità della divisa che ha indossato. Si precisa che il mio assistito non è mai stato nei ruoli della Presidenza del Consiglio», insiste l’avvocato Gianluca Tognazzi che aggiunge: «Nessuna informazione coperta dal segreto investigativo è stata mai divulgata dal mio assistito, peraltro impossibilitato ad avere conoscenza di notizie di tale natura». Ma quell’incontro romano c’è stato eccome: ci sono le foto dei militari che si sono infiltrati fra i tavoli del “Ceppo” per seguire da vicino il banchetto. E da come racconta al deputato regionale Carmelo Pace, l’ex poliziotto lo avrebbe rimproverato di «parlare troppo al telefono».
Ma a Roma Totò ci sarebbe stato anche per «sistemare» la gara-ponte indetta dall’Asp di Siracusa da assegnare alla Dusmann Service. Perché Cuffaro, nonostante sapesse o avesse il sospetto di essere monitorato, è andato avanti nella sua operazione volta a conquistare poltrone e caselle. Aiutando gli «amici nostri» stava seminando magari per un’altra candidatura. Ma Saverio Romano, l’ex ministro, lo aveva avvertito. Così come il colonnello indagato. Ma anche una terza persona: Domenico Di Carlo. Quest’ultimo lo avvisa che un suo parente in servizio alla Dia avrebbe saputo, per vie traverse, che sarebbero state attivate delle intercettazioni. E lui e Saverio Romano sarebbero stati i bersagli. «No mettilo là dentro... Modalità non serve a niente… là… là lo puoi mettere», diceva Cuffaro a Di Carlo che era andato a trovarlo in via Scaduto, la sua abitazione palermitana. «Abbiamo… siamo attenzionati... questo lo capisco». Ma l’ex governatore sembrava davvero informato di come si stessero muovendo gli investigatori. Avrebbe saputo che c’erano microspie anche all’assessorato alla Famiglia, retto in quota Dc da Nuccia Albano. «Io l’unica cosa… ma è contemporanea a quando me la fai sapere tu… che ci fu qualcuno che mi disse… evita di andare all’assessorato alla famiglia… che ci sono telecamere… (a bassa voce, ndr) … e non ci sono andato più…». L’unica preoccupazione di Cuffaro è la figlia «magistrato» che sarebbe rimasta bruciata da una possibile indagine sul padre. Quindi Totò cerca di trovare soluzioni diverse: ci sono molti caffè al solito bar, che per i carabinieri del Ros è uno di quei luoghi che servono per evitare le indagini. Strategia vana, a spasso con Cuffaro ci sono (quasi) sempre gli investigatori che fotograno e annotano. E così l’indagine cresce con diversi capitoli che sono coperti da omissis, come quello sul Ponte sullo Stretto. Un altro teatro di depistaggio è la dimora di Mondello, dove arrivano molti “amici”, che finiscono nella lista degli indagati da arrestare. Anche per incontrare l’ex ministro Saverio Romano, Cuffaro usa delle cautele: «La prima cosa che ho fatto... ho approfittato che c’era una manifestazione politica... non l’ho chiamato io a Saverio… ho approfittato della manifestazione politica e sono andato a trovarlo a Mondello…».
La prossima settimana l’ex governatore dovrà fornire molte spiegazioni al gip sul contenuto di alcune conversazioni. Sul possibile anche «scambio di soldi» collegati addirittura a bandi ancora da predisporre. Una sorta di garanzia anticipata. Così almeno ipotizzano gli investigatori da una conversazione collegata a una visita dell’imprenditore Alessandro Vetro, quello coinvolto nelle turbative d’asta ad Agrigento. In questo caso Cuffaro parlando con Pace diceva: «E va beh lo fai venire là e gli dai i soldi». Che sarebbero stati destinati – sempre secondo la procura di Palermo – a Giovanni Tomasino. Ma è ad aprile dello scorso anno che sarebbe avvenuta la consegna del denaro. I carabinieri del Ros annotano che l’ex presidente della Regione dopo aver chiesto a Vetro di «aggiustare un documento» evidentemente riferibile ad un bando di gara («…Tu te la prendi questa… te la aggiusti... me la ridai… e poi c’è la commissione») e dopo aver palesato l’assoluta disponibilità di Tomasino «a garante dell’operazione («Ti ho detto la fa lui!”), riceveva «una non meglio quantificata somma di denaro» («Venti, cinque, trenta»). Cuffaro diceva addirittura: «Ma sono assai questi». Ma l’imprenditore indagato lo rassicurava: «Sì lo so per l’amicizia prendili!».