ISTITUTI PENITENZIARI
Rissa nella sezione “Mediterraneo” del carcere di Trapani: un sovrintendente ferito al volto. Il termometro del disagio torna a salire
Cinque detenuti stranieri coinvolti, botte al rientro dalla “socialità”, un agente in ospedale. Dentro le mura della Casa Circondariale “Pietro Cerulli” si riaccendono le tensioni, sullo sfondo di sovraffollamento, organici ridotti e precedenti episodi che hanno già allertato i sindacati
Una porta di ferro che sbatte, il vociare che si fa rimbombo, poi i colpi netti: sono le 15 di una domenica di dicembre, il rientro dalla “socialità” nella sezione Mediterraneo del carcere di Trapani dovrebbe essere routine. Non lo è. In pochi istanti, tra le grate e il corridoio, una rissa travolge tutto: volano pugni, spinte, una testata. Quando gli agenti si lanciano per dividere i detenuti, un sovrintendente della Polizia Penitenziaria viene colpito in pieno volto. L’uomo, sanguinante, finisce al Pronto soccorso: applicati cinque punti di sutura, i medici sospettano una frattura del setto nasale. La rissa, secondo una prima ricostruzione, ha coinvolto cinque reclusi stranieri. È successo oggi dentro la Casa Circondariale di Trapani “Pietro Cerulli”.
La dinamica: pochi minuti che dicono molto
L’innesco. Il momento critico è il rientro in sezione al termine delle attività comuni, la cosiddetta “socialità”, quando i movimenti si intensificano e la sorveglianza dinamica deve governare passaggi stretti e nervi tesi. Qui, nella sezione Mediterraneo, già altre volte il clima è stato teso.
Il contatto. Le versioni raccolte indicano cinque detenuti coinvolti. L’intervento immediato degli agenti evita il peggio, ma un sovrintendente viene raggiunto da un colpo al volto. Trasferimento urgente in ospedale, sutura e accertamenti: si parla di una possibile frattura.
Gli interrogativi. Perché scatta la rissa? Le ipotesi vanno dal banale litigio tra compagni di sezione a frizioni più strutturate tra gruppi etnici o micro-gerarchie interne. Al momento non ci sono conferme ufficiali: la prudenza è d’obbligo. Le verifiche interne faranno chiarezza.
La sezione “Mediterraneo”, epicentro delle tensioni
Non è un nome nuovo per chi segue le cronache dal carcere trapanese: tra giugno e luglio 2025, proprio il reparto Mediterraneo è stato teatro di proteste collettive. In un caso, una cinquantina di detenuti si rifiutarono di rientrare in cella; in un altro, il numero salì a circa cento, con richiesta di incontro con il magistrato di sorveglianza e di “benefici” non previsti. Le trattative condotte dagli operatori, con l’intervento della magistratura di sorveglianza, riportarono la calma, ma il segnale restò inequivocabile: la temperatura interna è alta.
Trapani, un istituto sotto pressione: organici, numeri, vulnerabilità
Il quadro tracciato nei mesi scorsi dai sindacati della Polizia Penitenziaria è severo: parlano di una realtà “al collasso”, di gravi carenze di organico, di una assenza prolungata di figure chiave nella catena di comando e di sezioni non adeguate a gestire situazioni complesse, a partire dal disagio psichiatrico. Le sigle citano numeri: mancherebbero all’appello decine di unità tra ispettori, sovrintendenti e agenti, mentre l’istituto ospiterebbe anche detenuti del circuito di Alta Sicurezza. Alcuni rappresentanti annunciarono perfino la volontà di scendere in piazza. È la stessa geografia delle fragilità che rende plausibile il ripetersi di risse e aggressioni come quelle documentate più volte nel 2024 e nel 2025.
Nello specifico, all’inizio dell’estate i sindacati locali hanno formalizzato lo stato di agitazione: “situazione drammatica” sul piano numerico e operativo, con una presenza in istituto stimata in circa 570 detenuti, di cui quasi 80 in Alta Sicurezza. In parallelo, veniva richiamata l’attenzione sull’assenza di un Comandante di Reparto titolare, giudicata “un vuoto di comando” dalle sigle che hanno seguito la vicenda.
Dentro il dato nazionale
Il contesto in cui si inserisce l’episodio di oggi è quello, ben documentato, di un sistema penitenziario italiano in sovraffollamento cronico. I numeri del Rapporto Antigone 2025 e del Garante nazionale fotografano uno scarto strutturale tra presenze effettive e posti realmente disponibili: al 30 aprile 2025 i detenuti erano 62.445 per una capienza regolamentare di circa 51.280 posti. Ma se si sottraggono i posti non utilizzabili (almeno 4.500), l’affollamento reale medio sale attorno al 133%. Aggiornamenti di metà anno fissano il tasso reale al 134,3% con 62.728 presenze al 30 giugno 2025, e addirittura 62 istituti sopra il 150%. A fine luglio 2025 il DAP indicava 62.569 presenze per 51.300 posti regolamentari: dietro l’apparente +22% medio di affollamento si nasconde, come ricordano i garanti, la forbice tra capienza formale e posti realmente fruibili.
Nelle ore di punta, questa compressione di spazi e persone si traduce in stress, attriti e rischi: bastano una provocazione, un debito interno, un gesto di sfida per accendere la miccia. Se poi gli organici sono ridotti e il turn-over rallenta, la sorveglianza perde elasticità. Le risse non sono un “incidente inspiegabile”: sono spesso l’esito meccanico di condizioni che la letteratura penitenziaria elenca da anni.
Sicilia, un arcipelago di criticità
In Sicilia il quadro è particolarmente teso. Secondo un recente monitoraggio del Sindacato Polizia Penitenziaria, negli 23 istituti dell’Isola si contano oltre 7.000 detenuti (circa 7.063), con un aumento di eventi critici, “focolai di rivolta” e aggressioni. Alla radice, denunciano, carenze di personale e controlli, e una penetrazione crescente di cellulari e oggetti proibiti. È in questo perimetro che vanno letti anche gli scossoni regolari registrati a Trapani.
La voce dei sindacati: l’appello ripetuto
Dopo le aggressioni di maggio 2025, i rappresentanti di SAPPE, OSAPP, UILPA, USPP, FNS CISL e SINAPPE hanno chiesto “interventi immediati”: dotazioni, formazione, rafforzamento degli organici, adeguamenti delle sezioni più delicate. In alcune dichiarazioni si è invocato l’impiego di taser in contesti selezionati, tema delicato e ancora oggetto di confronto. E soprattutto si è ribadita l’urgenza di presidi di salute mentale più strutturati, per gestire un’utenza detentiva con fragilità psichiatriche sempre più presenti.
Cosa accade adesso: inchiesta interna e riflessi penali
Per episodi di questo tipo scattano rapporti di servizio, segnalazioni alla Procura e, se del caso, contestazioni disciplinari ai detenuti coinvolti. L’aggressione a un pubblico ufficiale in servizio può integrare ipotesi di reato gravi, con riflessi sui regimi detentivi e sulle prospettive trattamentali. In parallelo, l’Ufficio del Comandante e la Direzione aprono una istruttoria interna sulle procedure adottate e sull’efficacia dei dispositivi di prevenzione. Al momento, non risultano note ufficiali con dettagli ulteriori sull’accaduto: sarà la relazione di servizio a fissare la cronologia dei fatti.
