I segreti del sequestro di Valenti
I soldi del narcotraffico dell'ex paninaro investiti nel bar affidato al prestanome
I quattro pilastri dell'indagine finanziaria del Gico della guardia di finanza che hanno portato al provvedimento di prevenzione
Non ha saputo dimostrare la provenienza lecita di alcuni investimenti. E, non avendo elementi in senso contrario, il Tribunale di Misure di Prevenzione ha detto sì al sequestro dei beni nei confronti di Pinuccio Vitale, il paninaro-narcos, che è stato al centro di un’indagine - denominata “Slot Machine” - svolta dalla guardia di finanza qualche anno fa che lo ha portato a una condanna di 20 anni di carcere. Ancora è pendente il processo di secondo grado.
Nel decreto del collegio presieduto dalla giudice Maria Pia Urso, che si condensa in sei pagine, è scritto che «nelle motivazioni della sentenza del gup traspare con un iter logico-argomentativo che allo stato appare condivisibile». Per il Tribunale i punti nodali che hanno portato al provvedimento sono suddivisi in quattro filoni. Il primo fa riferimento alla «struttura e all’effettiva operatività del sodalizio organizzato dedito all’attività di spaccio facente capo a Giuseppe Vitale e ai suoi fratelli». Il secondo alla «realizzazione delle condotte finalizzate allo spaccio». Da cui sono tratti i profitti illeciti, che sarebbero stati - e qui entra in gioco il terzo pilastro - impiegati «in attività economiche lecite che sarebbero servite a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa degli importi». Come ultimo nodo la concretizzazione dell’investimento illecito con la scelta di trovare un prestanome allo scopo di non far scattare alcuna misura. E quindi «l’intestazione fittizia del New Bar Galermo», poi diventato «Caffè in piazza» (con il nome della testa di legno). Il progetto imprenditoriale è miseramente fallito. C’è però da affrontare il processo che si aprirà il 14 gennaio.

