stragi in Sicilia
Mafia e Appalti, il procuratore di Caltanissetta De Luca in Antimafia: «Nel 1992 a Palermo non si fece ciò che si doveva fare»
Il vertice dell'ufficio giudiziario nisseno ha riletto il clima in cui lavoravano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Il procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca, ha aperto la sua audizione davanti alla Commissione nazionale antimafia con parole nette: “Prima di ricominciare le indagini sul cosiddetto filone Mafia e appalti ho ritenuto opportuno informare il Procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo”. Ed ha partecipato all'incontro presieduto da Chiara Colosimo insieme ai pm Claudia Pasciuti e Davide Spina, mentre nel pool sulle stragi a Caltanissetta ci sono anche l'aggiunto Pasquale Pacifico e il pm Nadia Caruso. Questi ultimi due con ogni probabilità prenderanno parte alla prossima audizione.
Le indagini sui filoni delle stragi
De Luca ha spiegato che la Procura nissena ha in corso diversi filoni di indagine sulle cause e sui concorrenti esterni delle stragi del 1992. Tra questi, il più avanzato è quello relativo al rapporto tra mafia e grandi appalti, considerato centrale per comprendere le dinamiche che portarono agli attentati contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il nodo del 1992
Secondo il procuratore di Caltanissetta, “nel 1992 non si fece quello che si doveva fare”. Dopo la strage di via D'Amelio, l'Italia cambiò radicalmente: due stragi mafiose, l'impatto di Mani Pulite sul sistema politico e il mutamento degli equilibri imprenditoriali. In quel contesto, la Procura di Palermo – guidata da Pietro Giammanco fino al luglio 1992 – non avrebbe dato il giusto impulso alle indagini. L'arrivo di Giancarlo Caselli nel gennaio 1993 segnò invece una svolta: “Caselli non aveva alcun interesse politico a bloccare o insabbiare le indagini su mafia e appalti”, ha sottolineato De Luca.
Le “precondizioni” e l’isolamento di Falcone e Borsellino
De Luca ha parlato di una “situazione di assoluta inopportunità” in cui operarono Giammanco e Pignatone, che avrebbe contribuito a sovraesporre Falcone e Borsellino. “Prima si isola un magistrato, lo si espone e poi lo si uccide”, ha ricordato citando lo stesso Falcone. Pur senza mettere in dubbio le parole di Borsellino, De Luca ha evidenziato come alcune interviste pubblicate all’epoca potessero aver falsato il pensiero del giudice palermitano.
I rapporti della famiglia Pignatone con ambienti mafiosi
Un passaggio delicato dell’audizione ha riguardato gli acquisti immobiliari della famiglia Pignatone negli anni Ottanta. Secondo De Luca, la compravendita di 26 immobili da parte della Immobiliare Raffaello, società riconducibile a Bonura, Piazza e Buscemi – tutti condannati per mafia e legati da rapporti di parentela – rappresentava una “situazione di inopportunità”. Il Procuratore ha citato anche un episodio ambientale in cui Bonura avrebbe parlato di confidenza con la madre di Giuseppe Pignatone. Inoltre è stato acquistato un immobile a prezzo ridotto, con parte del pagamento “in nero” al boss Salvatore Buscemi. “Non è reato, ma è un illecito amministrativo e una condizione di inopportunità”, ha chiarito De Luca.
Borsellino e la diffidenza verso Giammanco
De Luca ha poi ricostruito la riunione del 14 luglio 1992, sottolineando che non vi fu alcuno scontro diretto tra Borsellino e la dirigenza della Procura. “Borsellino rispettava le gerarchie negli ambiti ufficiali, ma in privato poteva anche scontrarsi con Giammanco”, ha spiegato, citando Antonio Ingroia. Il Procuratore ha ribadito che Borsellino nutriva una “estrema diffidenza” nei confronti di Giammanco, Natoli e Lo Forte, definendolo un “leone” che non aveva paura di affrontare i vertici della Procura.