il caso
«I detenuti ci picchiano e restano impuniti. Abbiamo paura»
Dopo il brutale massacro di un agente nel carcere di Siracusa, la Fns Cisl denuncia carenze strutturali, burocrazia paralizzante e punizioni irrisorie per i detenuti violenti
Il carcere di Siracusa
Se le rivolte in carcere andassero a passo di lumaca, e le aggressioni anche, allora la burocrazia non sarebbe un problema per la vita degli agenti di polizia penitenziaria. E’ il drammatico paradosso – a qualche giorno dal massacro a colpi di bastoni in testa di un poliziotto - insito nella denuncia di Salvatore Alota, segretario Fns Cisl, che quella realtà la conosce bene.
«In caso di rivolte o aggressioni, ci sarebbe il G.i.r, il gruppo di intervento regionale, che però non può intervenire senza disposizioni e devono passare 24 ore prima dell’intervento. Nel carcere di Siracusa il G.i.r non c’è, così come ancora non è partito il G.i.l, il gruppo di intervento locale».
E in caso di rivolta che succede?
«Scatta l’allarme da parte dell’amministrazione di Siracusa, il comandante mette a conoscenza il direttore e quest’ultimo dovrebbe intervenire».
Quindi un gruppo d’intervento per sedare le rivolte c’è, ma che la burocrazia rallenta tutto?
«Sì, con una rivolta in corso bisognerebbe attendere 24 ore. Assurdo».
Lei parla di mancanza di ispettori.
«Ne mancano diversi, molti vanno al G.i.r o al G.i.o, il gruppo di intervento operativo. Li abbiamo in carica a Siracusa, ma sono fermi a Catania».
Sottufficiali ne avete?
«Mancano troppe unità. Ne abbiamo 4 in lunga assenza, qualcuno distaccato, c’è chi è in malattia da 4 mesi, chi da 6, chi da un anno».
E la funzione dei sottufficiali?
«Si occupano della sorveglianza generale, sono operativi in vari uffici, gestiscono il personale».
Quanti ne mancano?
«Almeno 12».
Gli agenti sono sufficienti?
«No. E’ vero che hanno rimpolpato il numero su Siracusa di 80 unità, ma divisi fra 3 istituti».
Quanti al carcere di Siracusa?
«Venti, ma 11 sono donne».
E’ un problema?
«Sono preparatissime ma in caso di sommosse o rivolte potrebbero essere in difficoltà. Non è un discorso sessista, ma di forza fisica».
Qual è lo stato d’animo della polizia dopo un’aggressione?
«Frustrazione. I detenuti che compiono quegli atti ce li si ritrova a due passi dopo poco. Impuniti».
In che senso impuniti?
«Di solito viene applicata solo una sanzione disciplinare superficiale. In passato venivano allontanati subito e non negli istituti vicini».
E la punizione quando si colpisce la testa di un poliziotto qual è?
«Una settimana in isolamento, o senza ora d’aria, o il divieto di giocare a pallone. In certuni casi gravi se ne occupa la Procura».
Dopo ogni aggressione cosa cambia?
«Nulla. I colleghi lavorano pensando di rischiare la vita per nulla, nonostante l’impegno. La domanda che ci facciamo più di frequente è se vale la pena di essere picchiati, presi a schiaffi, offesi, e ritrovarsi davanti dopo qualche giorno il detenuto che ci ha aggrediti».
Dalle istituzioni arriva solidarietà, come nel caso del vostro collega preso a bastonate in testa con le gambe di un tavolo?
«No. Allo stato attuale, no».
Il caso in questione è quello dell’agente di polizia penitenziaria trascinato qualche giorno fa da un detenuto all’interno di una cella del carcere di Siracusa e picchiato a bastonate, circondato da un capannello di altri carcerati.
In quel caso il pestaggio è durato diversi minuti prima che si registrasse un soccorso. Per la maggioranza dei colleghi, l’esempio di come la penuria di agenti rischi sempre più spesso di mettere in pericolo la vita di chi lavora in carcere, è che l’invio di poche unità a rinforzo possa finire per essere poco utile. In ciascuno degli istituti di detenzione del territorio si registra una penuria di almeno 70 agenti, mentre il numero monstre dei detenuti per istituto si aggira intorno a 700, per edifici che ne potrebbero contenere la metà.