Il processo
Tentato omicidio a Marsala, il racconto in aula del medico legale che fa chiarezza sull'accaduto
Frattura cranica pluriframmentaria per la vittima e ipotesi di accetta nel processo per tentato omicidio a Strasatti
Tribunale nuovo Marsala
La stanza d’ospedale odora ancora di disinfettante quando il racconto si fa concreto: una frattura al cranio “pluriframmentaria”, segmenti ossei spinti verso il cervello, un “gravissimo pericolo di vita”. È la fotografia clinica che emerge in aula dalla voce del medico legale. Quel quadro, dicono gli atti, nasce da un solo gesto: un colpo netto, violento, al capo. Forse un’accetta, forse una mannaia. È attorno a questa traiettoria che il processo per il presunto tentato omicidio di Strasatti, borgata di Marsala, ha cambiato passo: la testimonianza tecnica sposta l’attenzione dalla scena confusa della lite alla fisica dell’impatto, alla probabilità che quell’arma fosse davvero “pesante e tagliente”, e alla direzione del colpo. Un’udienza, quella del 13 dicembre 2025, che più di altre ha costretto tutti – accusa, difesa, giudici – a fare i conti con l’anatomia dei fatti.
I protagonisti e i fatti essenziali
Secondo il capo d’accusa, il 20 luglio 2024 a Strasatti, Mounir Mhadhbi venne colpito alla testa con un’arma bianca “pesante”, in un’aggressione che – stando alle carte – avrebbe potuto ucciderlo se non fosse intervenuta una sequenza rapida di soccorsi. A processo c’è Mohamed Alì Khalifa, tunisino, che al momento dei primi atti risultava 26enne e che oggi, alla luce del tempo trascorso, viene indicato come 27enne. È in custodia cautelare in carcere. Si dichiara innocente. Difeso dall’avvocato Vito Daniele Cimiotta, nega ogni responsabilità e riferisce, invece, di essere stato lui stesso ferito in quella stessa giornata da un fendente alla gamba con lesione dell’arteria femorale.
La vittima, dopo il primo intervento al Pronto soccorso dell’ospedale di Marsala, viene trasferita e ricoverata a Palermo per la gravità dei traumi cranici. È una delle poche certezze condivise: il trasporto in un centro in grado di gestire neurochirurgia d’urgenza. La sequenza dei soccorsi, in questo caso, è parte sostanziale del racconto giudiziario perché misura la distanza tra la “probabilità di morte” e la “sopravvivenza nonostante tutto”, categoria che il codice riconosce quando parla di atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte.
Il fatto
È estate piena, 20 luglio 2024, la borgata di Strasatti è un mosaico di case basse e botteghe che si spengono a tarda sera. Nelle carte si legge di una lite tra connazionali, una discussione degenerata. Il quadro che l’accusa porta a dibattimento descrive un colpo portato “mentre la vittima dava le spalle”, con un oggetto “pesante e tagliente” che impatta nella zona fronto-parietale sinistra. La lesione cranica è catalogata come frattura pluriframmentaria con segmenti ossei spinti all’interno del parenchima cerebrale e piccoli focolai emorragici. Sono espressioni fredde, ma dicono in modo chirurgico l’energia impressa al colpo.
Il 118 e il Pronto soccorso di Marsala diventano il primo teatro della sopravvivenza: stabilizzazione, imaging, valutazione neurochirurgica, quindi il trasferimento verso Palermo. Nello stesso lasso di tempo, anche Mohamed Alì Khalifa finisce in ospedale: i referti indicano una ferita profonda alla coscia, con interessamento dell’arteria femorale, un dettaglio che la difesa pone al centro della propria strategia, sostenendo che l’imputato sia stato a sua volta vittima di un accoltellamento e non l’autore dell’aggressione alla testa.
Il medico legale
La deposizione del medico legale, ascoltato in Tribunale a Marsala su richiesta del pubblico ministero Giuseppe Lisella, aggiunge un tassello di peso: conferma che la ferita alla testa è compatibile con un “colpo violento”, verosimilmente causato da un’accetta. Non si tratta solo di qualificare l’arma: è il profilo energetico del gesto, la modalità d’impatto, la posizione dei soggetti, a orientare la lettura giudiziaria. Un colpo dall’alto in basso? O orizzontale? Portato frontalmente o alle spalle? La descrizione clinica e le fratture della teca cranica, con orientamento “obliquo”, offrono indizi sulla dinamica, pur senza chiuderla in un automatismo. La prudenza, qui, è regola: la scienza medico-legale disegna un perimetro di compatibilità, non la certezza matematica dell’evento.
Per l’accusa, questo quadro si sposa con l’imputazione di tentato omicidio: il colpo sarebbe stato idoneo a cagionare la morte e la sopravvivenza di Mhadhbi deriverebbe da cause indipendenti dalla volontà dell’aggressore – in primis la prontezza dei soccorsi e l’efficacia delle cure. È un passaggio giuridico cruciale, già scolpito nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato tra fine 2024 e inizio 2025, e ripreso nei successivi provvedimenti che hanno condotto al rinvio a giudizio e all’apertura del dibattimento.
Le versioni a confronto
La linea della difesa di Mohamed Alì Khalifa è netta: “Non sono stato io a colpire”, avrebbe ribadito l’imputato già davanti al giudice dell’udienza preliminare Sara Quittino. Secondo il racconto difensivo, quella notte c’erano “sette o otto persone” coinvolte in una rissa e l’imputato si sarebbe risvegliato in ospedale, colpito alla gamba. Un punto che l’avvocato Cimiotta sottolinea anche attraverso un altro elemento logistico: l’uomo ferito alla testa e l’imputato sarebbero stati “trovati in due posti diversi”, suggerendo l’ipotesi che gli eventi non coincidano nello stesso istante e luogo. È una strategia che mira a seminare un ragionevole dubbio sulla responsabilità diretta del colpo alla testa.
Sul lato dell’accusa, invece, pesano le risultanze medico-legali e il filo ricostruito dagli atti: l’arma ipotizzata, la direzione del colpo, la descrizione della frattura e delle emorragie cerebrali. Già nelle fasi a ridosso della chiusura indagini, il procedimento aveva fissato nero su bianco la cornice: oggetto “pesante e tagliente”, movimento diretto verso il capo mentre la vittima non fronteggiava l’aggressore, e un esito clinico che parla di rischio letale concreto. È su questo binario che la Procura di Marsala, con il sostituto procuratore Giuseppe Lisella, ha portato il caso al giudizio.