il racconto
La Chiesa siciliana torna ad alzare la voce: «Basta compromessi con il male, solo così si vede la luce»
Ecco i martiri siciliani che hanno sfidato la mafia, un appello per giustizia e speranza
La Sicilia è una terra che porta sulle spalle il peso di una storia difficile: la mafia, il malaffare, l’omertà. Ma è anche una terra di fede, di santi, di uomini e donne che hanno saputo illuminare il cammino con il coraggio e la coerenza. Oggi, più che mai, la voce della Chiesa siciliana si fa sentire, con forza e senza esitazioni.
Durante la festa di Santa Lucia, patrona di Siracusa, l’arcivescovo Francesco Lomanto si è rivolto ai fedeli con parole che hanno il tono di un appello diretto alle coscienze: «Chi sceglie la luce dice di no al buio del peccato, dice di no al compromesso del malaffare, dice di no all’oscurità della violenza e alla tenebra del male in ogni sua forma». Non un discorso astratto, ma un invito concreto a non svendere la propria dignità, a mettere al primo posto il bene comune, a vivere la fede come scelta di libertà. Il cardinale Baldassare Reina, vicario per la Diocesi di Roma, ha presieduto la celebrazione eucaristica e ha ricordato che «la Sicilia, pur segnata da tanti problemi, è abitata da uomini e donne illuminati dalla fede che hanno cambiato positivamente la storia». È un messaggio che ribalta la narrazione di una terra condannata all’ombra: la Sicilia è anche terra di santi, di testimoni, di responsabilità che oggi ricade su ciascuno di noi.
A Palermo, l’arcivescovo Corrado Lorefice ha scelto di parlare senza mezzi termini del racket delle estorsioni: «Non dobbiamo avere paura di denunciare. Più denunciamo e più istituzioni avranno la possibilità di far vedere che non solo non sono lontane dalla vita della gente ma sono vicine. È lo Stato che occupa gli spazi della città e non i mafiosi o i malavitosi a farlo». Parole che suonano come un invito a rompere l’omertà, a credere che la giustizia sia possibile, a restituire alle città la libertà che spetta loro.
E a Catania, mons. Luigi Renna ha compiuto un gesto forte: commissariare le associazioni agatine legate alla festa di Sant’Agata. «Non possiamo permettere che la devozione popolare venga offuscata da interessi o da logiche che nulla hanno a che fare con la fede», ha spiegato. È un segnale chiaro: la Chiesa non intende più tollerare zone d’ombra o compromessi che possano offuscare la testimonianza cristiana.
La storia della Chiesa in Italia, e in Sicilia in particolare, è segnata da figure che hanno scelto di non piegarsi. Non erano eroi, ma parroci di quartiere, uomini semplici che hanno deciso di vivere il Vangelo fino in fondo. E proprio per questo sono diventati scomodi, «interferenti», capaci di disturbare gli affari della criminalità organizzata. Tra loro c'è don Pino Puglisi a Palermo, nel quartiere Brancaccio. Il sacerdote non si limitava a celebrare la messa. Guardava i ragazzi negli occhi e diceva loro che la vita poteva essere diversa. Organizzava attività, insegnava a studiare, li strappava alla strada. La mafia lo considerava un ostacolo, un prete che «rovinava i piani». Il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno, fu assassinato. Il suo sorriso davanti ai killer è rimasto un segno indelebile: non paura, ma fede. Nel 2013 Papa Francesco lo ha proclamato beato, riconoscendo in lui un martire della giustizia.

Molti anni prima, nel 1916, un altro parroco siciliano aveva pagato con la vita la sua coerenza. Don Giorgio Gennaro, originario di Modica e parroco a Ciaculli, non aveva paura di denunciare i Greco, il clan locale. Parlava apertamente, «senza peli sulla lingua». Due sicari lo attesero lungo una strada di campagna e lo uccisero con colpi di lupara. La sua morte è una delle prime testimonianze di quanto la mafia non tollerasse voci libere, nemmeno quelle di un sacerdote.
Meno noto, ma non meno significativo, è don Gaetano Millunzi, sacerdote palermitano degli anni '50. Si schierò apertamente contro il potere mafioso, difese i fragili e non accettò compromessi. La sua figura emerge come esempio di coerenza evangelica: un prete che non cercava visibilità, ma che pagò con la vita la sua scelta di libertà. Fu ucciso il 13 settembre del 1920, a colpi di lupara, nella sua casa di villeggiatura a Realcesi (Monreale).

In Campania, a Casal di Principe, don Peppe Diana fu voce limpida contro la camorra. Nel documento «Per amore del mio popolo» denunciò apertamente il sistema criminale che soffocava la sua comunità. Era il 19 marzo 1994, festa di San Giuseppe, quando fu ucciso nella sacrestia della sua chiesa. La sua morte scosse l’Italia intera: un parroco che aveva scelto di stare dalla parte della sua gente, fino alla fine. Un anno dopo, nel 1995, la camorra colpì ancora. Don Cesare Boschin, parroco veneto trapiantato a Casal di Principe, fu trovato morto, torturato e strangolato. Aveva difeso i più deboli, aveva detto «no» ai compromessi. La sua uccisione mostrò quanto la criminalità non sopportasse chi osava opporsi, anche se era un uomo di Chiesa.
Queste storie, raccolte da don Marcello Cozzi nel libro «Non interferite. Il sangue dei preti sull’altare delle mafie», non sono solo memoria. Sono un filo rosso che attraversa il Novecento e arriva fino a oggi. Preti che hanno scelto di «disturbare» la mafia, di non restare indifferenti, di difendere i più fragili. La loro vita è diventata Vangelo vissuto, testimonianza che la fede non è mai neutrale: o sta dalla parte della giustizia, o rischia di diventare complice del silenzio.
La Chiesa siciliana oggi non parla con voce timida, ma con forza e chiarezza. «Non più silenzi, non più ambiguità», sembra gridare dalle piazze e dalle cattedrali. È tempo di scegliere: luce o tenebra, dignità o compromesso, giustizia o omertà. La fede non può convivere con la violenza. La società non può accettare il ricatto. La Sicilia non può restare prigioniera della mafia.
Questo è il momento di alzare lo sguardo, di denunciare, di liberare le città dalle catene del malaffare. È il tempo di una Sicilia nuova, che rinasce dalla sua vocazione più autentica: terra di santi, di giustizia e di speranza. Ora tocca a noi: scegliere la luce, sempre.