Capaci e via D'Amelio
Depistaggio stragi, Grasso in aula a Caltanissetta ricostruisce la "pista nera" per far luce sui mandanti
L'ex procuratore nazionale antimafia ha rivelato che il dossier su Stefano Delle Chiaie, storico leader di Avanguardia Nazionale, non è mai pervenutio alla Dna
Oltre un’ora di deposizione, tra ricostruzioni del passato e il tentativo di fare luce sui mandanti delle stragi di Capaci e via D’Amelio. È questo il cuore dell’intervento dell’ex procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, ascoltato dal tribunale collegiale di Caltanissetta nel processo che vede imputati l’ex carabiniere Walter Giustini e Maria Romeo. I due sono accusati di depistaggio nell’ambito delle indagini sulla cosiddetta “pista nera” delle stragi mafiose del 1992.
Al centro dell’udienza anche la figura dell’ex collaboratore di giustizia Alberto Lo Cicero, deceduto da anni per una patologia tumorale. Poco prima della sua morte, la Direzione nazionale antimafia – allora guidata da Grasso – aveva disposto due colloqui investigativi, condotti dall’allora pm Gianfranco Donadio. Dopo il secondo incontro, Lo Cicero aveva annunciato l’invio di un dossier sulla presunta presenza in Sicilia di Stefano Delle Chiaie, storico leader di Avanguardia Nazionale, oltre ad alcune registrazioni. Tuttavia, quegli atti non sono mai pervenuti alla Dna.
Nel filone investigativo oggi approdato a dibattimento risultavano coinvolti anche l’avvocato Stefano Menicacci, nel frattempo deceduto, e il suo collaboratore Domenico Romeo, fratello di Maria Romeo. Menicacci era noto per essere stato il legale di fiducia proprio di Delle Chiaie.
Rispondendo alle domande della pm Nadia Caruso e del procuratore aggiunto Pasquale Pacifico, Grasso ha ricostruito il metodo di lavoro adottato alla Dna, ispirato a quello di Giovanni Falcone. «Eliminavo le ipotesi suggestive e prive di riscontri – ha spiegato – per concentrare l’attenzione su elementi concreti e sviluppabili». L’ex procuratore ha chiarito che i colloqui investigativi non venivano trasmessi integralmente alle procure competenti, ma sintetizzati in atti di impulso redatti dai magistrati della Direzione nazionale antimafia. «Non erano ben visti dalle procure – ha aggiunto – ma rientravano nei poteri del procuratore nazionale».
Grasso ha ricordato anche il suo percorso accanto a Falcone e il contributo alla stesura della legge istitutiva delle Direzioni distrettuali antimafia e della stessa Dna. «Quando sono diventato procuratore nazionale antimafia – ha sottolineato – il mio obiettivo era cercare ulteriori autori delle stragi. Un dovere morale verso chi non c’era più».
In chiusura, parole di apprezzamento per i magistrati nisseni impegnati nel processo: «Ammiro i colleghi di Caltanissetta che stanno cercando di ricomporre questo mosaico. Capire senza riuscire a provare è il dramma di chi indaga e di chi giudica».
Nel controesame, rispondendo alle domande dei difensori Sonia Battagliese ed Emanuele Francesco Butticè, Grasso ha infine dichiarato di non ricordare di aver firmato la richiesta di archiviazione del fascicolo sui cosiddetti «sistemi criminali», che vedeva indagati, tra gli altri, Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie e Totò Riina.