La storia
Maurizio Di Stefano, librario antiracket a Catania, chiude a Bologna il ristorante siciliano
Aveva ricominciato con i fondi con fondi per le vittime del pizzo. "Ma ora lo Stato rivuole i soldi"
Da vicenda di riscatto a epilogo amaro a pochi giorni dal Natale. Maurizio Di Stefano, già libraio antiracket in Sicilia e poi ristoratore a Bologna, è stato costretto a cedere l’attività. «Ho ceduto l'attività, l’ho dovuto fare perché non posso più vivere in questo modo. Lo Stato mi aveva dato i soldi per ripartire, ma poi me li ha chiesti indietro quando ormai li avevo già investiti», racconta all’Ansa.
Fino a pochi giorni fa Di Stefano era il titolare di «Liccu», locale di cucina siciliana molto frequentato in via Ranzani, a due passi dal polo universitario. «Ritengo di aver fatto scelte giuste, nella legalità, ma vengo trattato come un lestofante. Lo Stato che mi aveva aiutato, alla fine mi ha fregato e la mia storia è la sconfitta dello Stato», afferma con amarezza. Riconosciuto come vittima di mafia, circa quindici anni fa aveva chiuso la libreria nel centro di Catania, stremato dal pizzo e dalle ripetute intimidazioni. A Bologna si era rilanciato nella ristorazione, con risultati lusinghieri, anche grazie a un contributo di circa 150mila euro proveniente dal Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura. Proprio su quel sostegno economico si è però consumata la battaglia che lo ha visto soccombere. Il beneficio, inizialmente accordato, è stato revocato e Di Stefano si è visto recapitare dall’Agenzia delle Entrate una cartella esattoriale per l’intero importo.
La revoca è maturata per un motivo tecnico: i procedimenti penali avviati in Sicilia in seguito alle sue denunce sono proseguiti «solo» per il reato di usura aggravata, mentre le ipotesi di estorsione sono state archiviate, facendo venir meno i presupposti per l’accesso al fondo antiracket. Di Stefano ha impugnato l’ingiunzione e attende l’udienza. Nel frattempo, ha scelto di vendere il locale per saldare il debito con il fisco. «Non voglio scappare, ho 60 anni, non posso sentirmi trattato come se fossi un lestofante», spiega. «Quello che mi amareggia è che nessuno di quelli che avevano promesso di essermi vicino si è attivato concretamente per la mia paradossale situazione», conclude.