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La commemorazione

Trapani, trent'anni dopo l'omicidio Montalto tanti punti investigativi ancora non chiariti

Commemorazioni, i retroscena legati al 41-bis e le richieste di verità della famiglia

Rino Giacalone

23 Dicembre 2025, 07:27

Trapani, trent'anni dopo l'omicidio Montalto tanti punti investigativi ancora non chiariti

Giuseppe Montalto, agente di polizia penitenziaria, aveva 31 anni quando fu ucciso dalla mafia, 30 anni addietro, nella frazione trapanese di Palma, oggi Comune di Misiliscemi, dove stamane alle 9.30 verrà ricordato con una cerimonia. Nel pomeriggio un concerto musicale si terrà alle 18.30 presso l'auditorium della scuola Pagoto di Erice. Era marito e padre già di una bambina. Quando fu ucciso, il 23 dicembre 1995, alle 21, mentre saliva nell'auto dove c'erano la moglie, Liliana Riccobene, e la piccolissima primogenita, Federica, né lui né la consorte sapevano della seconda figlia in arrivo, Ilenia.

Giuseppe Montalto aveva cominciato a lavorare a Torino poi fu trasferito a Palermo e destinato all'Ucciardone nel braccio carcerario del 41 bis. All’epoca in quelle celle c’erano reclusi i boss più pericolosi e spietati di Cosa nostra, da Pippo Calò, che con un solo battito delle mani dava gli ordini, a Nino Madonia, dai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano a Mariano Agate.

Giuseppe Montalto fu ucciso dal killer più fidato, e spietato, di Cosa nostra trapanese, Vito Mazzara. Assolto dal delitto è stato invece Franco Orlando, un uomo d’onore riservato, all'epoca era consigliere comunale eletto nel Psi. È adesso in cella per la seconda volta a scontare una condanna per associazione mafiosa.

L'omicidio dell'agente Giuseppe Montalto è stato l'ultimo degli omicidi eccellenti a Trapani. La sua morte fu il modo di «far passare un Natale allegro ai detenuti del 41 bis». Quell'agente morto ammazzato doveva essere il regalo di Natale dei boss liberi a quelli detenuti. Era finito nell'elenco delle "spine" da eliminare perché tempo prima aveva bloccato in carcere il passaggio di un "pizzino", dal palermitano Raffaele Ganci al catanese Nitto Santapaola e per vendetta i mafiosi palermitani fecero arrivare ai boss trapanesi la richiesta di uccidere Montalto. «Ninuccio (Madonia) vuole eliminata una guardia carceraria che “si comporta male”» e l'allora latitante Matteo Messina Denaro se ne occupò subito, disse che ammazzare quell'agente "era una cosa buona".

Oggi ci sono ancora domande senza risposta. C'è ancora chi custodisce il segreto su chi aiutò Cosa nostra a compiere quel delitto. Bisognava trovare, risalendo al tipo di auto e alla targa "To" (Torino), la residenza di quel poliziotto e ci fu chi, consultando la banca dati dell'ufficio della Motorizzazione, passò la notizia al commando, su dove Montalto abitava. Dopo il delitto ci fu un banchetto in un locale a Valderice e ai mafiosi fu concesso un privè.

«Giuseppe amava questa piazza di Palma a lui adesso dedicata» – ci racconta Liliana Riccobene – veniva qui da giovane a trascorrere il tempo libero, certamente non pensava mai che un giorno potesse portare il suo nome. Giuseppe non voleva essere un eroe ma un uomo libero.

Resta il malessere per un ricordo che si è sbiadito. Poche settimane addietro Liliana ha incontrato una scolaresca del liceo Cipolla di Castelvetrano. «Continuo a chiedere verità, basta con le mezze verità, mezze verità sui delitti, mezze verità sugli arresti mi viene da dire, basta con i vincoli imposti da Cosa nostra che si prende le nostre vite e con l'omertà che ci rende complici, vorrei che a svegliarsi per davvero possa essere questa nostra società. Ai giovani dico che bisogna saper fare gruppo e combattere la mafia, ma la mafia dobbiamo saperla combattere anche in modo individuale. Invito i giovani ad avere sempre voglia di fare delle cose buone, belle e importanti. Rispetto a quel 1995 lo Stato oggi c’è di più e se qualcuno oggi manca sono i politici, spero che presto questi giovani si facciano avanti». E poi: «Ricordare significa non far morire un'altra volta la persona che è stata uccisa, ma avverto oggi che spesso le morti di mafia non sono considerate tutte uguali».