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Il messaggio

Un nuovo inizio e non una tregua nel nome di Gesù Cristo

La pace è umile mentre la guerra è orgoglio e arroganza

Redazione Catania

24 Dicembre 2025, 08:27

Renna

MONS. LUIGI RENNA*


È rimasta un fatto unico nella storia, la “tregua di Natale”, nata spontaneamente sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale, la notte del 24 dicembre del 1914. Fu il segno che il mistero della Natività del Signore era più forte di ogni appartenenza e di ogni conflitto, e che nel cuore di quei soldati era vivo il senso del messaggio che gli angeli diedero ai pastori nella Notte Santa: la gloria di Dio e la pace tra gli uomini. Potenza del Natale, potremmo dire! Vorremmo vedere questa tregua ancora oggi, ma non come una pausa dopo la quale tutto torna come prima, ma come un nuovo inizio.


Sono tante le situazioni che attendono un “nuovo inizio”, e non ci possono non stare a cuore quelle che riguardano la società e il mondo intero, perché il mistero della Nascita di Cristo ha quasi un carattere “estroverso”: spinge ad uscire da sé, dal “piccolo cabotaggio” delle nostre navigazioni, conduce non solo verso l’Altro, Dio che ha assunto l’umanità, ma anche verso gli altri, che hanno il volto definito delle persone di ogni condizione e cultura, “convocate” a Betlemme e rappresentate simbolicamente dai pastori e dai magi, uomini di tradizioni altre rispetto al popolo eletto. Se dovessimo scrutare senza falsarle o manipolarle, le intenzioni di Dio nel mistero del Natale sono quelle di un nuovo inizio, la cui ricaduta sociale è quella pace che fin dal suo primo discorso papa Leone ha definito con quattro aggettivi: disarmata, disarmante, umile e perseverante.


Il Bambino di Betlemme diverrà l’Uomo della Croce, che rifiuta di difendersi quando viene arrestato nel Getsemani e a chi gli propone la spada, dà un’ammonizione saggia che potrebbe essere la chiave interpretativa di tutti i conflitti: «Chi di spada ferisce, di spada perisce» (Mt 25,26). Nonostante i cristiani si siano tante volte armati persino uno contro l’altro, o abbiano benedetto le armi, la verità del Vangelo è disarmante nella sapienza delle parole di un Maestro che invita a porgere l’altra guancia, a pregare per i propri nemici, a fare la stessa strada con chi ci costringe a fare con lui lo stesso percorso: altro che tregua, questa è la storia della carità, della nonviolenza, del “lupo di Gubbio” ammansito dalla mitezza di san Francesco. È la storia della salvezza. E poi ha proclamato beati i miti, attribuendo loro addirittura “il possesso della terra”, conquistata non con carrarmati e droni, e neppure con trattati di pace che umiliano gli avversari, ma con la mitezza del dialogo. È una pace umile, indubbiamente, mentre la guerra è orgoglio e arroganza, nella sua preparazione, nel suo vissuto, nelle sue conseguenze. Infine l’aggettivo “perversante” ha ricevuto quasi una precisazione nel primo messaggio di Leone XIV alla Giornata della pace del 1° gennaio del 2026: «La pace ha il respiro dell’eterno: mentre al male si grida “basta”, alla pace si sussurra “per sempre”».


E se il Natale non fosse una “tregua” passeggera dei buoni sentimenti, ma l’inizio di un nuovo stile di vita nelle relazioni, nella famiglia, nella politica, nella visione internazionale che dipende dai grandi della Terra ma che, grazie a Dio, nel nostro Paese democratico può essere costruita con una visione che parte “dal basso”? Torna il Natale, perché quel mistero della nascita di Cristo non delude nessuna epoca della storia: è troppo grande per essere sepolto dalla “macchina consumistica”; ma noi deluderemo le attese di Dio e dell’umanità, in una misteriosa coincidenza che ci dice corrispondenza di visione di chi cerca il bene? Deluderemo il Natale delle generazioni future? Ecco, la pace è la grande questione dell’umanità; è suo “il caso serio”, con quei quattro aggettivi che richiedono di rimetterci in cammino: disarmata, disarmante, umile e perseverante. Auguri per un Natale così!

* Arcivescovo metropolita di Catania