Il caso
Dentro l’ex ospedale Santa Marta, tra degrado e documenti abbandonati. Le immagini
La vecchia struttura al centro di Catania è frequentata anche dai ragazzini. Il Comitato Antico Corso chiede risposte su un eventuale riutilizzo
Tre ragazzini, con un pallone da calcio sotto braccio, escono sudati da un vecchio palazzo abbandonato. Succede di domenica pomeriggio, in via Gesualdo Clementi. L’edificio ad accesso libero, con soffitti pericolanti, documenti abbandonati e porte divelte, è quello che per oltre un secolo ha ospitato l’ospedale Santa Marta, il cui ingresso si trova oggi nell’omonima piazzetta inaugurata cinque mesi fa e creata abbattendo la struttura dell’altro ospedale che ne occultava la vista, il Villermosa.
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La via Clementi vista dal primo piano dell'ex ospedale abbandonato
L’edificio è enorme: alto oltre venti metri, all’interno ha tutti i segni di una chiusura che sembra arrivata improvvisa e inattesa. Ma non è certamente l’unico in zona: il palazzo all’angolo con via Bambino e fino a non troppi anni fa sede di Asp, è nelle stesse condizioni, con un locale al piano terra senza porte e pieno di quelli che un tempo dovevano essere arredi da ufficio. Nascosta agli sguardi, ma accessibile dall’edificio storico principale, c’è anche un altra grande struttura abbandonata, anche questa un tempo appartenuta all’ospedale.
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L'edificio visto da via Montevergine
I segni del degrado sono visibili non solo dalla nuova piazzetta, ma anche dal retro, da via Montevergine, dove si trova la chiesa di Santa Marta - anche questa chiusa - che dà il nome all’ex struttura ospedaliera. Pochi metri più in là, chiuso e utilizzato solo parzialmente c’è il “Santo Bambino”. E a poche centinaia di metri il Vittorio Emanuele, un tempo il più grande ospedale della Sicilia.
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«La città viene ridisegnata continuamente senza un progetto apparente», commenta amaro Salvo Castro del Comitato civico Antico corso. Per anni l’associazione ha denunciato le “storture” di un rapporto ineguale tra l’Università e il quartiere “gentrificato”. «Oggi forse siamo 500 i residenti storici rimasti in zona», prosegue, constatando ancora una volta come dalla chiusura dell’ospedale Vittorio Emanuele - trasferito dal novembre 2019 con uomini e mezzi al San Marco di Librino - la situazione sia peggiorata per la perdita non solo dei presidi sanitari, ma dei lavoratori e dei pazienti che facevano vivere l’economia.
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«Al Vittorio Emanuele si sta lavorando per ristrutturare l’edificio principale che dovrebbe diventare museo dell’Etna - prosegue Castro - ma in altri padiglioni la situazione è simile a quella del Santa Marta. Il Santo Bambino appare invece impenetrabile, che io sappia dentro c’è solo una parte di deposito per la Multiservizi: hanno chiuso anche il consultorio. Non si sa nulla di una possibile riconversione in alloggi per studenti o altro». E il Santa Marta? «Il problema non è il degrado o i “vandali” - sottolinea - ma se qualcuno si fa male. Faccio un esempio pratico: io se ho un terreno devo recintarlo per dimostrare di aver fatto abbastanza per la sicurezza. La Regione siciliana o chi al momento ne è proprietario, non ha questi obblighi?», si chiede Castro.
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Domenica mattina la piazzetta Santa Marta ha ospitato lo spettacolo teatrale curato da Angelo D’Agosta “Storie in cantiere”, collaborazione tra Officine culturali, Comune (con Palcoscenico Catania) e Università. In scena le storie di chi il quartiere lo vive raccolte dalla professoressa Claudia Cantale, sociologa digitale. «Dai racconti è emerso che il Santa Marta è stato storicamente uno spazio libero usato dai ragazzi - racconta Cantale - e questo processo di riappropriazione credo sia naturale». Il problema, esattamente come sottolineato da Castro, è che chi sta nel quartiere non conosce i piani.
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«Non c’è interlocuzione: chi vive e lavora all’Antico corso è completamente escluso dai processi decisionali. Abbiamo parlato con decine di esercenti che, dalla chiusura degli ospedali, con fatica si sono reinventati un modello di business. Il fioraio ad esempio vive con le lauree, e non più con i funerali, tanti panifici e rivenditori di generi alimentari hanno chiuso, e chi è rimasto ha smesso di proporre menù completi per il pranzo, come si faceva quando erano frequentati da medici e funzionari.Ma la sensazione diffusa, oltre a una rabbia per l’esclusione dai processi, è che non valga la pena pensare al futuro: si vive alla giornata».
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Esattamente come sembra essere accaduto per la nuova piazza con dietro il Santa Marta abbandonato.
