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verso il veglione

Catania, sulla tavola nobiliare di corso Italia tacchino ripieno e un bel timballo di maccheroni

Così Donna Fernanda Paternò del Castello si prepara all'ultimo appuntamento conviviale del 2025

Maria Elena Quaiotti, Concetto Mannisi

30 Dicembre 2025, 08:03

08:04

Catania, sulla tavola nobiliare di corso Italia tacchino ripieno e un bel timballo di maccheroni

Quartiere che vai, cenone che trovi. L’idea nasce un po’ per scherzo e un po’ per caso, quando decidi di programmare gli articoli da pubblicare sul giornale nel periodo delle festività. Tradizione vuole che si facciano più o meno sempre le stesse cose, seguendo più o meno gli stessi schemi. Ma a volte anche nella tradizione è auspicabile il cambiamento e per questo abbiamo deciso di cambiare canovaccio, affidandoci per il pezzo sul cenone a un format diverso. Abbiamo disturbato - ricevendo in cambio sorrisi, apprezzamenti e pure qualche bella idea - due interlocutrici di grande spessore umano ma certamente di estrazione sociale diversa. E ci siamo divertiti allorquando si è trattato di metterle a confronto, cogliendo nelle diversità fra le due figure tanti spunti positivi e una certezza: che si tratti del cenone organizzato in una casa di San Cristoforo o in un’altra del corso Italia, al di là dei servizi di piatti o di posate utilizzati, il piacere per il buon cibo è comune. Come la voglia di fare festa. E, perciò, che festa sia! Donna Fernanda Paternò Castello dei duchi di Carcaci ci accoglie nel suo “giardino segreto” in corso Italia e così, davanti a noi, si apre uno spaccato sulla nobiltà ai giorni nostri che in occasione del cenone di Capodanno, ma diremmo in ogni occasione di convivialità, parla soprattutto di tradizione, ricordi, ricette tramandate (e da non svelare del tutto), ma anche di buon gusto e ricerca del bello, privilegiando l’utilizzo di materie prime tutte catanesi e siciliane.

Nessuno snobismo però. Donna Fernanda (nome dall’origine chiaramente spagnola) è infatti soprattutto una donna che lavora, stimata acquarellista ed esperta calligrafa, cioè specializzata nell’arte della “bella scrittura”. Contingenza che piuttosto l’ha portata negli anni a personalizzare (e offrire nuovi spunti anche ai nostri lettori) e apparecchiare con gusto e stile.

Un’idea per il Capodanno 2026? «Il centrotavola è secondo me un elemento fondamentale, perché sia di buon auspicio consiglio di comporre con arance, limoni e foglie. Da lasciare al centro, mi raccomando». Altri consigli per la tavola delle feste? «Direi, non usare i piatti di plastica o le teglie di alluminio; usare la fantasia per creare segnaposti personalizzati ma anche il menù da presentare agli ospiti. La tavola deve essere una esperienza sensoriale, ma anche visiva».

Donna Fernanda mostra una parte di un servizio di piatti della Compagnia delle Indie risalente all’Ottocento «che la mia famiglia usava nelle grandi occasioni e in origine era composto da pezzi per 60 commensali. I fratelli Carcaci, tra cui mio nonno, erano però undici e il servizio è stato prima scorporato in più parti per poi tornare, se pur in parte, in famiglia. Con tempo e pazienza siamo riusciti a rimettere insieme pezzi per almeno 20 commensali. Conservo anche alcuni utensili per la cucina, per capire a cosa servissero ci sono volute molte ricerche, ma sono tutte tradizioni che ho amato, raccolto dove ho potuto anche in cimeli e che conservo».

E le ricette? «Nella mia famiglia, Carcaci e Raddusa, si è sempre stati amanti della buona cucina e le ricette sono state ereditate e tramandate, alcune delle quali si facevano solamente a casa nostra. Mi riferisco al tacchino ripieno di panpepato la cui ricetta, identica, ho poi ritrovato in Scozia. Parlando di primi piatti come non rammentare il timballo del Gattopardo (di maccheroni), quello descritto nel libro. Andando sui dolci non possono mancare la zuppa inglese e il “riso di Santa Caterina”, una ricetta di Casa Carcaci. Gli ingredienti? Crema inglese, riso, pistacchi, canditi e pezzettini di cioccolato. Come non citare poi ciò che i miei figli chiamano il “dolce nazionale”, i “cutumè”, che in arabo significa “bocconcino” e altro non sono che piccole frittelle a base di ricotta, uova e farina conditi con miele, io li aromatizzo con cannella e fettine d’arancia. C’è un piatto che ha degustato e mai più mangiato? «Sicuramente la bavarese di pistacchio ricoperta di caramello: ho ancora il sapore, ma non saprei rifarla…».

Donna Fernanda ricorda ancora i “Monzù”. «Si tratta del cuoco francese che veniva nelle case nobiliari adeguandosi però alla cucina siciliana. Certo io ero piccola e il ricordo non è nitidissimo, ma ci sono alcune ricette che ancora oggi mi restano impresse come la brioche francese ripiena di besciamella, prosciutto e piselli che a casa mia si è sempre fatta ed era buonissima. Quando c’erano i Monzù io ancora ero piccola, li ricordo vagamente. Avevamo una cuoca nostrana, ma io ho imparato a cucinare da mamma perché la cucina è sempre stato uno dei miei ambienti preferiti della casa, con tanti esperimenti alcuni anche non riusciti, lo ammetto».