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Caso Lo Monaco: lo “spessore criminale“ degli ultrà catanesi nella relazione dell’Antimafia

Di Mario Barresi |

CATANIA – Il rapporto con le tifoserie è «la porta d’ingresso» che consente alle organizzazioni criminali di «avvicinarsi alle società per il tramite del controllo mafioso dei gruppi organizzati». È la conclusione a cui è arrivata un’inchiesta dell’Antimafia nazionale. Nella “Relazione su mafia e calcio”, approvata il 14 dicembre 2017, si mettono nero su bianco molte delle «contaminazioni» nel mondo del pallone. Riflettori su Napoli, Juventus, Genoa, Lazio e Latina, ma c’è anche un corposo approfondimento sul Catania. «La possibile evoluzione progressiva dello spessore criminale dei componenti dei gruppi ultras è emersa con particolare chiarezza», si legge nel dossier, «quando è stata approfondita la situazione della tifoseria catanese».

Nella relazione, datata come detto fine 2017, ovviamente non si parla ancora del caso Lo Monaco, dell’aggressione subita dall’amministratore delegato del Calcio Catania sul traghetto per Villa San Giovanni, della testa di maiale ritrovata in mezzo al campo del Massimino un anno fa con un messaggio per il dirigente, delle scritte sui muri contro Lo Monaco che invadono la città. 

Si parte, invece, dall’uccisione di Filippo Raciti. Ebbene, «già le indagini successive al tragico episodio del febbraio 2007 avevano dimostrato a Catania – ricorda il sostituto procuratore della Dda etena, Alessandro Sorrentino, fra gli auditi in commissione – l’esistenza di gruppi ultras organizzati secondo metodi e strutture analoghe a quelli delle associazioni per delinquere». Una prospettiva investigativa attestata dalla sentenza del tribunale di Catania del 13 ottobre 2014 , che «ha dato atto che per alcuni ultras appartenenti al gruppo denominato Anr vi era una vera e propria affectio societatis finalizzata all’organizzazione sistematica di azioni di contrasto violento nei confronti delle forze dell’ordine in occasione delle partite di calcio della squadra del Catania, con predisposizione, quindi, di mezzi e di persone proprio per contrastare l’operato delle forze di polizia».

Per il magistrato era emersa, in particolare, «la costante partecipazione di tutti gli imputati agli episodi di violenza, la partecipazione effettiva di quasi tutti gli associati agli scontri del febbraio 2007, il mutuo soccorso tra gli stessi a seguito degli arresti operati dalla Polizia di Stato dopo questi episodi di violenza, con vere e proprie raccolte di fondi tra gli stessi per sostenere le spese legali delle famiglie  con metodi, quindi, per certi versi, analoghi a quelli che riscontriamo per le consorterie mafiose, il costante riferimento a schemi organizzativi delle attività violente con riferimento spesso alle figure di capi».

I tragici scontri del febbraio 2007

Ma in quell’indagine c’erano prove della presenza della mafia? Sorrentino risponde in questi termini: «Per quanto non fossero emersi collegamenti diretti ed espliciti, all’epoca, con la criminalità organizzata, intesa come clan e famiglie mafiose del territorio, alcuni elementi riscontrati, in particolare il finanziamento interno a favore dei sodali in carcere, la custodia di armi e di droga per conto terzi, lasciavano ritenere che si trattasse di gruppi legati alla criminalità mafiosa o che in qualche modo ne rappresentavano una derivazione o una rappresentanza anche soltanto indiretta».

Altre indagini hanno accertato che «alcuni leader dei gruppi ultras maggiormente rappresentativi all’interno del locale stadio Angelo Massimino vantavano rapporti diretti con la criminalità organizzata mafiosa, sia per i legami di parentela con alcuni esponenti, sia per i precedenti penali specifici che gli stessi annoveravano».

In particolare la relazione cita due personaggi «Il leader indiscusso del gruppo degli “Irriducibili”, Rosario Piacenti, appartenente alla omonima famiglia mafiosa del quartiere Picanello – con precedenti per porto e detenzione di armi, resistenza e violenza a pubblico ufficiale – e un altro leader dello stesso gruppo, Stefano Africano», condannati nel 2016 per tentata estorsione aggravata dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa dei Cursoti ai danni del giocatore del Catania Marco Biagianti» . Piacenti e Africano, per la cronaca, sono stati poi assolti in appello, perché «il fatto non sussiste», nel febbraio scorso.

Ma quest’ultima vicenda, per l’Antimafia è «emblematica». Questa la descrizione nella relazione del 2017: «Il giocatore, ancora oggi capitano della squadra, viene avvicinato dai due capi ultras Piacenti e Africano che tentano di estorcergli una somma di denaro di 5 mila euro al fine di poter sostenere, come accerterà il tribunale, alcune “spese processuali”, con chiaro riferimento alla loro appartenenza ad ambienti criminali. Il giocatore, intimidito dal chiaro contesto criminale mafioso, non si è costituito parte civile al processo  e in quella sede ha sostenuto la tesi difensiva degli imputati – poi smentita dal tribunale – secondo la quale i soldi gli erano stati chiesti come forma di sostegno alla tifoseria delle spese attinenti alle coreografie».

Una reticenza, pur davanti a fatti eclatanti, assimilabile a quella che emergerebbe dal caso dell’aggressione di ieri a Pietro Lo Monaco: alla denuncia dei fatti via comunicato stampa non è seguita quella alle forze di polizia.

La curva Nord dei tifosi del Catania 

La “lista nera” della relazione dell’Antimafia nazionale si allunga citando altri quattro identikit: «il leader di un altro gruppo ha precedenti penali per traffico di sostanze stupefacenti ed è ritenuto vicino al clan Carateddi-Cappello»; «il capo del gruppo “Schizzati-Passarello”, che ha precedenti penali per reati inerenti agli stupefacenti, è figlio di un elemento di spicco del clan mafioso dei Cappello»; «sempre vicino al clan dei Cappello è il leader di un ulteriore gruppo, con precedenti penali per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti»; «infine, il capo di un altro gruppo ancora è ritenuto vicino allo storico clan mafioso dei Santapaola».

L’Antimafia, nel toccare i fili ad alta tensione del rapporto fra Calcio Catania e tifoseria, cita anche la bizzarra genesi dell’inchiesta “Treni del gol”, che «ha avuto inizio dall’iniziativa del presidente Pulvirenti che ha denunziato le pressioni dei tifosi e i tentativi d’ingerenza nella gestione della squadra». La Procura ha chiesto l’archiviazione delle ipotesi di reato di minacce e tentata estorsione a Nino Pulvirenti, scoperchiando «un numero indefinito di frodi nelle competizioni sportive, in concorsi, pronostici e scommesse». Nell’altra tranche, “Treni del gol 2”, risultano indagati, fra gli altri, anche Alfio e Giuseppe Mangion (la Procura ha chiesto l’archiviazione per il reato di associazione a delinquere), figli di Francesco, ex latitante ora all’ergastolo, considerato per anni il braccio destro di Nitto Santapaola.

Unendo i puntini l’Antimafia arriva a una conclusione durissima: si parla di «colonizzazione» dei «vertici dei gruppi ultras», con «evidenti» conseguenze: «Questi rapporti non solo influiscono, naturalmente, sull’egemonia che gli stessi leader riescono ad avere ed esercitano all’interno dei loro gruppi, ma non si esclude – riassume il pm Sorrentino – che possano tradursi, pur senza una spendita esplicita del nome della consorteria mafiosa, in tentativi di ingerenze della criminalità organizzata insieme alle dinamiche calcistiche, intese queste ultime sia come scelte di amministrazione e di gestione societaria, sia come tentativi di vessazione e di costrizione posti in essere nei confronti di soggetti protagonisti del calcio professionistico».

Twitter: @MarioBarresi

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