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Scacco alla cosche barcellonesi e ai rampolli delle “dinastie” mafiose: 59 arresti

Di Redazione |

MESSINA – In provincia di Messina e in altre località italiane, i carabinieri del Comando Provinciale della città dello Stretto e del R.O.S. hanno arrestato 59 persone accusate, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di droga, spaccio, estorsione, detenzione e porto illegale di armi, violenza e minaccia, reati aggravati dal metodo mafioso.

L’operazione, denominata «Dinastia», nasce da un’inchiesta della Dda di Messina, guidata dal procuratore Maurizio de Lucia, sulla «famiglia» mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto, clan storicamente legato a Cosa nostra palermitana.

L’indagine ha portato all’arresto di affiliati e gregari della cosca barcellonese che negli ultimi anni ha investito massicciamente nel settore del traffico di sostanze stupefacenti per integrare i guadagni illeciti delle estorsioni.

Ma dall’inchiesta della Dda quello che emerge con forza è che c’erano i figli degli storici capimafia della zona ai vertici dei clan di Barcellona Pozzo di Gotto. «Come dimostrato da questa operazione la tradizione di Cosa nostra si tramanda di padre in figlio, vale per quella palermitana, ma anche per tutte le altre forme organizzative mafiose. Una volta che i boss sono in carcere gli spazi devono essere occupati: o c’è una guerra e qualcun altro prende il potere di chi è in carcere, o c’è una successione indolore come in questo caso». A dirlo il procuratore di Messina Maurizio De Lucia, nel corso della conferenza stampa sull’operazione Dinastia.

I rampolli mafiosi, figli di boss detenuti, erano a capo di una struttura criminale che operava con metodo mafioso, nel traffico e nella distribuzione di fiumi di cocaina, hashish e marijuana, nell’area tirrenica della provincia di Messina e nelle isole Eolie, anche rifornendo ulteriori gruppi criminali satelliti, attivi nello spaccio minore.

L’operazione ha fatto luce anche su numerose estorsioni messe a segno da anni da esponenti della famiglia mafiosa a commercianti e imprese del territorio barcellonese. Ma al clan gli incassi del racket non erano più sufficienti, anche perché negli ultimi tempi tante vittime di estorsioni, in difficoltà per la crisi economica, avevano denunciato i taglieggiatori. Per questo la mafia di Barcellona Pozzo di Gotto è tornata a puntare al vecchio business della droga. 

A rivelare agli inquirenti il rinnovato interesse della mafia per il traffico di stupefacenti sono diversi pentiti come l’ex mafioso Alessio Alesci. «Con le estorsioni non si guadagnava più – ha raccontato agli investigatori – le persone denunciavano e volevano fare con la droga. C’era la crisi e le persone soldi non ne avevano e si è parlato di prendere la droga. La prendeva uno e valeva per tutti, il ricavato andava a tutti».

Dalle intercettazioni – nei dialoghi gli affiliati usavano un linguaggio in codice per indicare lo stupefacente – emerge che la cosca si riforniva di droga in Calabria dalla ‘ndrangheta. Ma aveva contatti anche con la mafia catanese: a Catania, ad interagire con i barcellonesi e con il gruppo dei milazzesi era Salvatore Laudani, sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e collegato alla criminalità mafiosa catanese.

Certo il pizzo era sempre uno dei “rami d’azienda” delle cosche barcellonesi, ma si era anche modificato andando a colpire, oltre a commercianti, imprenditori, agenzie di pompe funebri, anche chi vinceva alle le slot machine. I clan di Barcellona Pozzo di Gotto chiedevano soldi a tappeto: i collaboratori di giustizia hanno riferito che due ragazzi, avevano vinto 500mila euro giocando ad una slot-machine installata nel centro scommesse SNAI di Barcellona Pozzo di Gotto. La vincita aveva suscitato l’interesse dell’organizzazione mafiosa barcellonese che si è subito attivata per chiedere il pizzo sull’incasso, riuscendo a ottenere con le minacce 5mila euro.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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