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Coronavirus, scarcerato anche condannato per sequestro Di Matteo

Di Redazione |

PALERMO – C’è anche Franco Cataldo, 85 anni, condannato all’ergastolo per concorso nel sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, tra gli oltre trecento mafiosi scarcerati in questi ultimi giorni. Al detenuto, che stava scontando la pena nel carcere milanese di Opera, sono stati concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute.

Cataldo era stato arrestato con diversi altri mafiosi dopo la scoperta del bunker sotterraneo, in un casolare di San Giuseppe Jato, dove era stato segregato nell’ultimo periodo il figlio del pentito Santino Di Matteo, prima di essere strangolato e sciolto nell’acido su ordine di Giovanni Brusca. Secondo l’accusa uno dei covi utilizzati per nascondere il bambino sarebbe stata una masseria di proprietà di Cataldo. 

Giuseppe Di Matteo rimase prigioniero per due mesi nel 1994 nella masseria di Cataldo tra Gangi e Geraci Siculo, nelle Madonie. Il ruolo di Cataldo è stato ricostruito da uno dei «carcerieri» del bambino, Giuseppe Monticciolo, poi diventato un collaboratore di giustizia.

Monticciolo ha confessato di avere partecipato a decine di delitti e di essere stato «a disposizione» di Giovanni Brusca per le operazioni più feroci, tra cui quella del rapimento del piccolo Di Matteo e della sua segregazione con vari trasferimenti. Nel 1994 era stato incaricato da Brusca di costruire nella fattoria di Cataldo una «prigione» con una porta in metallo. Cataldo, ha raccontato il collaboratore in un libro curato da Vincenzo Vasile (“Era il figlio di un pentito”), si era mostrato felice di mettere la sua proprietà a disposizione dei carcerieri. «Il fatto è – ha spiegato – che i grandi mafiosi facevano a gara per accaparrarsi almeno un giorno di custodia di quel bambino: sembrava che volessero guadagnarsi qualche bollino di presenza».

I comportamenti di Brusca però provocarono qualche presa di distanza. Franco Cataldo colse come pretesto la raccolta delle olive. «Falsamente preoccupato – ha raccontato Monticciolo – mi disse di riferire a Brusca che avrebbe potuto consentire a qualcuno di sentire la voce del bambino». Brusca organizzò quindi il trasferimento del piccolo dopo avere commentato: «Quando c’è da arrampicarsi sono agili come le scimmie, quando ci sono difficoltà si ficcano tutti sottoterra come carogne». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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