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Mafia, così i mafiosi del Trapanese “criticano” Messina Denaro

Di Redazione |

«Dalle indagini emerge la rigida gestione dell’organizzazione criminale da parte del latitante Messina Denaro tramite i suoi familiari e le critiche per una gestione eccessivamente personalistica, con lamentele di altri affiliati che erano impegnati in attività mafiose ma che non venivano ricompensati economicamente».

Ad affermarlo è stato il maggiore dei carabinieri Diego Berlingieri, ascoltato in Tribunale, a Marsala, nel processo «Accardo Giuseppe + 14», scaturito dall’operazione Annozero.

«Nel corso di un dialogo intercettato l’8 agosto 2015 – ha continuato l’ufficiale – sull’auto di Giuseppe Tilotta, che parla con Leonardo Milazzo (entrambi già condannati, in primo grado, con rito abbreviato, ndr), ascoltiamo la frase: “Veniamo utilizzati fino a quando serviamo e poi gettati come un fazzoletto”».

Tre gli argomenti di quella conversazione: la linea di Messina Denaro su una pace apparente per fare minor rumore possibile allo scopo di tutelare gli interessi economici della famiglia, la scarsa presenza sul territorio del latitante e le lamentele di più associati per mancati aiuti economici alle loro famiglie».

Quest’ultima contestazione, ha spiegato il maggiore Berlingieri, viene fuori nel corso dello stesso dialogo intercettato e sarebbe stato il mazarese Franco Bastone a dire che suo fratello Giovanni, allora in carcere da 25 anni, «è stato abbandonato».

Da un’altra intercettazione viene fuori un curioso espediente di Tilotta per non destare sospetti quando va a trovare Gaspare Como, cognato di Matteo Messina Denaro, al suo negozio (Il Mercatone di Castelvetrano). «Tilotta, infatti – ha detto Berlingieri – prima di uscire dal negozio chiede a Como due scatole vuote di camicie e Como gli dice: “Tu la sai lunga”». Così, se uscendo viene filmato da telecamere piazzate dagli investigatori, può giustificarsi dicendo che era andato a comprare le camicie. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA