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Catania, Librino come Gomorra tra spari e droga: caccia agli autori dell’agguato

Di Concetto Mannisi |

CATANIA – «Ahu, ‘mpare… Chi t’aggiuva?». I cadaveri di quei due uomini sono stati portati via da appena poche ore, ma il gran mercato della droga a Librino non può fermarsi. Qui c’è gente che con il denaro proveniente dagli stupefacenti ci campa intere famiglie, in molti casi anche quelle dei detenuti, e allora, pur facendo molta attenzione, il presidio delle piazze di spaccio riprende. Con alcune vedette appostate nei punti strategici dei vialoni e altre – in scooter e stranamente col casco – a percorrere avanti e indietro sempre lo stesso pezzo di strada per intercettare clienti, curiosi e appartenenti alle forze dell’ordine in borghese. Ricordano i criceti in gabbia, che corrono corrono sui loro giochi, ma restano sempre nello stesso punto.

Anche Librino è fermo allo stesso punto. E se nei vialoni della città satellite tutto ciò si nota a malapena, con le erbacce incolte che crescono sia ai bordi della strada sia al di là dei muretti di contenimento, là dove le sterpaglie raggiungono dimensioni notevoli (direttamente proporzionali al rischio di incendi devastanti), è entrando nelle stradine laterali che si resta a bocca aperta: cumuli di rifiuti, sacchi di ogni colore accatastati là dove non ci sono cassonetti e dove i randagi si recano a pasteggiare. Da lì si accede in aree condominiali in cui abitano centinaia di famiglie, che sabato sera, da balconi e finestre, hanno potuto godere di una puntata di “Gomorra” esclusiva e in presa diretta.

Qualcuno di loro ha pure provato a cercare un ruolo da non protagonista, avvicinandosi al luogo dell’omicidio oltremisura e sbucando – con minorenne al seguito – da altri muretti e altre sterpaglie sovrastanti la scena del crimine: è stato rispedito al mittente dai carabinieri che indagavano e dai poliziotti costretti a intervenire a supporto, perché qualche momento di tensione con i parenti delle vittime c’è stato. La professionalità di chi era sul posto ha evitato guai.

Ciò mentre in via del Maggiolino, alla fine del tratto interessato dalla sparatoria che è costata la vita a due persone e il ferimento per altre quattro di età compresa fra i 25 e i 56 anni, la folla si ingrossava sempre più. Giovani e meno giovani, persino qualche donna con gioielli e trucco ben marcato sul viso, a debita distanza da una delle vittime e dal dolore dei loro familiari, quasi come in una sagra di quartiere illuminata dalle tristi luci arancioni dei lampioni della zona.

E’ in questo contesto che è maturato il duplice omicidio del quarantottenne Luciano D’Alessandro e del ventinovenne Vincenzo Scalia, ammazzati non si sa bene per quale motivo a pochi metri da una piazza di spaccio attiva proprio fra il viale Grimaldi 18-19 e via del Maggiolino. Che ci siano state questioni di droga in mezzo? Che si sia trattato di scontro estemporaneo fra bande, là dove qualcuno ha detto una parola in più del dovuto e in breve si è fatto ricorso alle pistole? Oppure si è trattato di un summit chiarificatore finito male? O, ancora, di una missione di morte programmata da un commando di fuoco che ha avuto la sfortuna di imbattersi in gente armata e non meno priva di scrupoli allorquando si è trattato di premere il grilletto? E, ancora, se ci fosse un collegamento con il ferimento di Salvatore Monaco, fratello del più noto Cristian (a sua volta “signore della droga”), venerdì sera? O con la rissa a colpi di casco scoppiata in un bar di via Diaz?

Sono domande a cui i carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale, coordinati dalla Procura della Repubblica, stanno cercando di dare delle risposte: analizzando telefonini cellulari, eseguendo il guanto di paraffina ai feriti e ai sospetti, sentendo tutte le persone che potrebbero avere avuto o che comunque hanno avuto contatti con i due morti e con i quattro feriti. Un lavoro massacrante, su cui la stessa Procura della Repubblica di Carmelo Zuccaro, sabato rappresentata dal sostituto procuratore Alessandro Sorrentino, a sua volta coordinato dall’aggiunto Ignazio Fonzo, ha deciso di stendere una cortina fumogena. Ciò per non compromettere indagini che, a questo punto, non si esclude possano essere – vista la presenza di testimoni – ben avviate.

Restano da analizzare i profili delle due vittime, che potrebbero non necessariamente far parte dello stesso fronte. Luciano D’Alessandro, il più anziano, è un ex sorvegliato speciale che parecchi anni fa risultava inquadrato nel gruppo degli Sciuto Tigna (qualcuno ricorderà gli arresti per l’assalto a un rappresentante di gioielli nella zona dell’aeroporto Fontanarossa, pare in compagnia dello stesso Biagio Sciuto) e che poi potrebbe avere deciso di passare ad altri gruppi. Nel suo casellario recente una serie di arresti per rapina, furto, truffa e poco altro.

Più movimentato il passato recente di Vincenzo Scalia, nei confronti del quale il cantante neomelodico Nico Pandetta – che come tutti sanno è nipote del boss Turi Cappello – ha postato un messaggio di cordoglio su Facebook, con tanto di fotografia in cui i due sono abbracciati. Pandetta ha pure annunciato che scriverà una canzone per l’amico ucciso.

“Enzo Negativa” (questo il soprannome del giovane), che risiedeva a San Cristoforo ma che pare frequentasse stabilmente la zona del viale Grimaldi, è stato arrestato a più riprese per armi, rapina, droga ed evasione. In quest’ultimo caso fu trovato al bar con amici e parenti, come se fosse la cosa più normale del mondo. Nessun reato associativo, a quanto pare, macchiava la sua fedina penale, ma le amicizie in determinati ambienti non gli mancavano. E quanto avvenuto sabato sera a Librino potrebbe in qualche modo dimostrarlo.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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