Notizie Locali


SEZIONI
Catania 17°

Cronaca

Salvo Pogliese, il sindaco “congelato”: «Ma nel 2023 mi vorrei ricandidare»

Di Mario Barresi |

Camicia bianca e jeans. La giacca l’indossa per la foto finale. «Di mattina faccio il dottore commercialista, di pomeriggio il segretario regionale di Fratelli d’Italia», rivela mentre prova goffamente a infilare la cialda nella macchinetta del caffè dello studio del padre. Salvo Pogliese rompe il silenzio. A due mesi esatti dall’addio a Palazzo degli Elefanti. Che, per lui, è solo un arrivederci.

Catania è senza sindaco dallo scorso 24 luglio. Ma magari i catanesi non se ne sono neppure accorti…

«Apprezzo la battuta. Ma non penso sia così. Perché dovrebbe esserlo?».

Perché la sua squadra gioca a memoria anche senza di lei. O magari perché, in una città devastata nell’anima prima che nei conti, si continua a vivacchiare. Ce lo dica lei, il perché…

«Qui c’è il rischio che si dimentichi la cosa più importante. Noi abbiamo salvato la città dal dissesto e dal disastro economico-sociale. Senza gli emendamenti “salva Catania”, il 1° luglio avremmo dovuto licenziare 1.300 persone. E fino al 31 dicembre non c’era un centesimo per pagare 5mila stipendi. Dissi al governo che potevano mandare l’esercito: ci sarebbe stata la rivoluzione in piazza. Siamo andati a Roma senza cappello in mano, la nostra serietà è stata apprezzata. E devo dire eternamente grazie, con diverse sfumature a Salvini e Candiani e alla Castelli. Ma il bilancio di due anni è assolutamente positivo: la licenza edilizia in 24 ore, il boom del turismo con misure innovative per congressi, sport e gite, i grandi eventi di nuovo al Massimino , la stabilizzazione di 200 precari, l’assunzione di 40 autisti dell’Amt, il concorso, per la prima volta solo per titoli, per 30 vigili urbani, la grande risposta a commercianti e imprese con le esenzioni Covid. E all’orizzonte enormi investimenti, stimolati da noi, sull’Etna Valley….»

Pogliese, vuole fare la relazione semestrale sul giornale? Ormai tocca al vice “reggente”, Bonaccorsi. A proposito: si fida di lui?

«Sono fiero di tutta la mia squadra. Bonaccorsi è una persona seria, preparata, di grande sobrietà. Una garanzia prima, a maggior ragione ora. Ho ricevuto pressioni, ma il suo ruolo per me non è mai stato in discussione».

Come si fa il “sindaco sospeso”? Lei parlò di «allenatore non giocatore». Ma come funziona in pratica? Se vede passare Barbara Mirabella per strada, finge di non vederla per non violare la legge Severino?

«Io sono sospeso e loro sanno benissimo cosa fare: c’è il programma e la giunta si attiene a quello. Stanno lavorando benissimo, ed è giusto che faccia i complimenti a tutto il consiglio comunale. Poi ci sono rapporti di amicizia e non c’è una barriera umana: posso prendere un caffè con la Mirabella o andare in vacanza, come ho fatto, col mio amico Sergio Parisi».

I più delusi della sua sospensione sono gli studenti: non ci saranno più le mitiche allerta meteo col sole…

«Magari torneranno… Quante risate mi sono fatto con la goliardia dei ragazzi».

Ora, scherzi a parte, la condanna e la sospensione sono state un doppio tir che l’è passato di sopra…

«Non mi sarei mai aspettato di vivere quest’esperienza. La mia vita è stata sempre improntata al rispetto delle regole e a una grande tensione etica e morale. Ho provato rabbia e amarezza, ma l’affetto trasversale mi ha dato forza. Io due anni fa ero a Bruxelles e ho scelto di fare il sindaco di una città con un miliardo e 600 milioni di debiti ereditati, rinunciando a 12mila euro netti di differenza d’indennità, ma soprattutto all’immunità che la legge Severino in quel ruolo mi avrebbe garantito fino a sentenza definitiva. Una scelta d’amore per la mia città».

Lo diceva anche in campagna elettorale. Sapendo di rischiare la sospensione. E se la sua, invece, fosse stata una scelta di cocciuto egoismo?

«Il mio processo era iniziato da tre anni. Se avessi avuto dubbi sulla mia condotta etica e morale, coerente con le norme, non mi sarei mai candidato. Ho illustrato il processo e spiegato tutto. Non ho tradito i catanesi, che mi hanno eletto col 52%, doppiando il mio rivale e predecessore. È la legge Severino che ha tradito i catanesi».

Dica la verità: quanto ha gongolato, per il principio del mal comune mezzo gaudio, per i guai giudiziari del suo storico nemico Bianco?

«Io, a differenza di molti altri, non ho mai gioito per le disgrazie giudiziarie degli avversari, né su ciò ho mai fatto di campagna elettorale. Cosa diversa è il giudizio politico su Bianco e sulla sua stagione: ha precise responsabilità sul disastro che stiamo vivendo».

Se potesse tornare indietro lascerebbe Bruxelles per fare il sindaco di Catania?

«Sì. Altre mille volte».

Perché non s’è dimesso dopo la condanna?

«Sarei stato un irresponsabile. E mi fa sorridere che chi invocava le mie dimissioni è dello stesso partito della Appendino, rimasta sindaco di Torino dopo la condanna. No, non mi dimetto. E anche questa, se permette, è una scelta d’amore. Catania sarebbe stata commissariata per 11 mesi, fino alle elezioni nel 2021: un disastro, per una città in dissesto».

Però potrebbe difendersi con più serenità, lontano dai riflettori.

«Questo è vero, certo come sono della mia innocenza. A questo proposito le racconto un aneddoto. Il 1° marzo 2018 lanciai la mia candidatura allo Sheraton. Qualche giorno prima avevo chiesto ai miei figli che ne pensassero. Antonio, il grande, mi disse: “Sì, papà, così costruisci più campi da rugby”. Giovanni, il piccolo, che all’epoca aveva sei anni, me lo sconsigliò: “Papà, se fai il sindaco, dai troppo nell’occhio”. Dissi fra me e me: speriamo che mio figlio non abbia mai ragione. Ci ho pensato, così come ho ripensato a un’altra serie di circostanze pazzesche».

E cioè?

«A una stella che mi accompagna. La mia storia politica s’intreccia con quella del Catania Calcio. Il 14 aprile 2000, derby Catania-Palermo. Il giorno prima Scapagnini era stato eletto sindaco e fece il giro sotto la curva Nord, dove fu esposto uno striscione di 30 metri con scritto “Pogliese Sindaco”. Lo sarei diventato diciott’anni dopo. Il 28 maggio 2006 il Catania vince con l’Albino Leffe e torna in serie A dopo 33 anni, lo stesso giorno in cui io vengo eletto per la prima volta all’Ars. Persi almeno mille voti, perché erano tutti prima allo stadio e poi a festeggiare… Il 10 giugno 2018 fui eletto sindaco mentre il Catania, sconfitto ai rigori dal Siena, diceva addio al ritorno in B. Non dico che avrei barattato l’elezione per la promozione, ma sarei stato disposto ad andare al ballottaggio. E poi il 23 luglio 2020: di mattina gli eroi della Sigi salvano il Catania Calcio dal fallimento, e io ero la persona più felice al mondo, mentre alle 16,45 arriva la mia condanna a Palermo».

Quando si dice: il tifo è una fede. Ha versato un contributo di 10mila euro, a titolo personale, alla nuova società.

«Sono amico di tutti i protagonisti della nuova società. Potevano fare come la nuova dirigenza del Palermo, che ha aspettato il fallimento per ricominciare a costo zero dalla D. A Catania si sono accollati 53 milioni debiti pur di salvare la matricola e la storia: una follia d’amore. Li stimo e li sostengo, con o senza la fascia di sindaco».

Se continuiamo col Catania Calcio non bastano due pagine di giornale. Ha sollevato una nuova questione di costituzionalità sulla Severino. Spera davvero nella sospensione della sospensione?

«La Severino va contro due principi costituzionali. La presunzione d’innocenza fino al terzo grado di giudizio e l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, perché sospende sindaci e consiglieri regionali ma non parlamentari nazionali ed europei. E c’è un tema aggiuntivo sulla rappresentanza. Sono fatalista, ma ci sono molti precedenti. Il Tar Campania ha reintegrato De Magistris e De Luca, c’è anche il caso di un consigliere regionale della Liguria e di due sindaci in provincia di Asti e di Vercelli. Vedremo…».

Intanto è tornato a fare un lavoro che non aveva quasi mai fatto.

«Ho ripreso a fare il dottore commercialista, attività che ho trascurato, nonostante gli sforzi per renderla compatibile con gli impegni istituzionali. Io mi sono abilitato nel 2003, poco dopo diventai assessore provinciale. L’economia mi piace molto, ma la politica è una malattia dalla quale è impossibile guarire».

Nella vita privata com’è stata questa estate da sindaco” congelato”?

«Ho recuperato rapporti di amicizia tralasciati: in municipio entravo alle 7 di mattina e uscivo alle 9 di sera. C’erano anche leggende metropolitane, pensavano che dormissi a Palazzo degli Elefanti. E poi mi sono goduto mia moglie e i miei figli. Ho fatto cinque giorni a Lipari e poi dei weekend in Sicilia: nel Ragusano, a Letojanni, a Marzamemi. Ma ad agosto si dovevano chiudere le liste per le Amministrative: anche in vacanza ho lavorato molto al telefono».

Salvini la voleva con sé quando nei sondaggi era al 40%. Lei disse “no, grazie” e scelse Meloni, che aveva un decimo dei voti della Lega. Ora sono alla pari. Un mago della politica o è solo fortunato?

«Io sono felicissimo e orgoglioso della scelta che ho fatto. Sono nato e cresciuto in questo mondo: Msi, Fronte della gioventù, An. Ed è stato un ritorno a casa. Con la Meloni c’è un rapporto trentennale d’amicizia sincera: la conosco da quando aveva 14 anni e venne da noi ad Acireale. Giorgia mi ha chiamato mezz’ora dopo la sentenza, manifestandomi affetto concreto. Sono stato io a stoppare un suo comunicato di solidarietà per evitare di politicizzare a livello nazionale la mia vicenda giudiziaria. Se fosse stato per me sarei entrato in Fdi già a fine 2012, ma il mio gruppo ne discusse e decidemmo di restare nel Pdl».

E Salvini non si offese per il rifiuto?

«Quando Salvini mi propose di entrare nella Lega, per me quella era la scelta più razionale: lui era leader della Lega e ministro degli Interni, io ero sindaco di un Comune in dissesto. Fra ragione e sentimento, però, prevalse il secondo,. Anche se sono sempre stato convinto che FdI avrebbe avuto grandi margini di crescita. A Salvini e Candiani, che all’epoca non ci rimasero benissimo, riserverò per sempre stima, affetto e riconoscenza perché hanno salvato la mia città dal disastro. Non lo dimenticherò mai».

Salvini sarà a Catania per l’udienza preliminare del processo sul “sequestro” della nave Gregoretti. Lo incontrerà?

«Mi hanno invitato ufficialmente alla manifestazione della Vecchia Dogana, sarò al suo fianco. Salvini sta affrontando un’altra vicenda surreale. Essere a processo per aver salvato i confini della nazione, esercitando il ruolo di ministro, è davvero surreale»

Pogliese e Salvini, gemelli diversi perseguitati dalla giustizia…

«Lei è un noto provocatore. Ma io non ci casco. Non esprimo giudizi politici sulla mia vicenda giudiziaria. E sarò da Salvini da segretario regionale di FdI. Punto».

Magari lì incontrerà pure Musumeci. Che sarà stato rassicurato dalla sua condanna, visto che molti la volevano candidato governatore nel 2022…

«Da uomo di destra, uno dei miei valori primari è la lealtà. Ricordo che nel 2013 Lombardo e Firrarello mi pressarono molto, alla fine del primo mandato di Stancanelli, per candidarmi in alternativa a lui. E risposi a tutti: non se ne parla nemmeno. E così è ora. Sono riconoscente a chi, nel mio partito e non solo, mi ha manifestato stima fino al punto di immaginarmi come candidato presidente. Anche prima della sospensione, non ho mai pensato a quest’ipotesi e l’ho sempre detto a Nello: sarò al tuo fianco se deciderai di ricandidarti. Se non dovesse farlo, il tema cambia. Ma fin quando c’è lui il discorso è chiuso per chiunque».

Che giudizio dà sulla prima metà del mandato di Musumeci?

«Un giudizio assolutamente positivo in un contesto drammatico dal punto di vista finanziario, aggravato dalla crisi legata al Covid. C’è stato un problema di comunicazione all’inizio, ma negli ultimi tempi il governo regionale ha cambiato passo».

Diversamente da lei, Musumeci ha rifiutato di entrare nel partito di Meloni, che rischia di diventare la prima donna premier. Ne sarebbe all’altezza?

«Assolutamente sì. È ovvio che ciò accadrà, e io ne sarò felice, nel momento in cui Fratelli d’Italia diventerà il primo partito del centrodestra vincitore alle Politiche del 2023».

E magari lei aspira a fare il ministro del governo Meloni…

«Forse non ci siamo capiti. Io voglio solo fare il sindaco di Catania».

Anche nel 2023, quando si rivoterebbe a scadenza naturale?

«Io nel 2023 vorrei ricandidarmi per fare il sindaco della mia città, chiedendo il consenso sulla base di quello che sarà stato fatto con e senza di me alla guida».

È un chiodo fisso, un’ossessione…

«Io ho fatto quasi tutto: dal consigliere comunale all’eurodeputato, passando per l’assessore provinciale e il deputato regionale. E potrei fare tanto altro. Ma fare il sindaco della tua città, lavorare per il futuro dei tuoi figli, è l’esperienza più bella della mia vita».

Nonostante la disgrazia della sospensione? Ha pagato pure un costo umano.

«Sa cos’è la cosa più brutta? Il pensiero che qualcuno possa associare il mio nome all’aggettivo determinato dal reato di peculato mi procura un dolore fortissimo. Per me l’onore di una persona vale più di ogni altra cosa».

Qual è la prima cosa che farà semmai dovesse tornare a Palazzo degli Elefanti?

«Lascerei la giacca e il telefonino nella mia stanza e andrei da Sant’Agata per renderle omaggio. Mi auguro che la patrona della mia città, alla quale sono visceralmente legato, possa accompagnare e vegliare sull’amministrazione di Catania. Questa città s’è sempre rialzata dopo calamità naturali, eruzioni e terremoti. E lo farà anche questa volta, ne sono sicuro al cento per cento».

E lei? Riuscirà a rialzarsi?

«Mi auguro possa farlo anch’io. Sì, mi rialzerò».

Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA