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Catania, la casa del boss confiscata ma abitata: inchiesta della Procura

Di Redazione |

Catania. Oltre a presentarsi «senza un granello di polvere sui mobili», in uno scenario in cui «tutto era al suo posto», la casa confiscata da anni al boss (della quale lo Stato non ha le chiavi) racchiude in un dettaglio la prova inconfutabile che conferma l’impressione di chi l’ha visitata, ovvero che è «come se fosse stata abitata fino a poco prima». Infatti, c’è pure una mascherina – di quelle ultimo modello, con un benaugurante #andratuttobene stampato sopra – sul piano lavabo del bagno di uno degli immobili di un elegante complesso residenziale di Gravina, confiscato al capomafia etneo Maurizio Zuccaro, sanguinario parente e socio dei Santapaola, ergastolano al 41-bis. La scoperta risale a martedì, quando alcune associazioni interessate agli immobili (inseriti nel bando dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati) hanno fatto un sopralluogo ufficiale, accompagnati dal coadiutore giudiziario e dalle forze dell’ordine.

Lo strano caso della casa confiscata e abitata fino a poco tempo fa dai familiari del boss è emerso ieri pomeriggio in Antimafia regionale nelle audizioni di Dario Pruiti (Arci) e Matteo Iannitti (I Siciliani Giovani), fra i testimoni della visita. Il quartier generale degli Zuccaro era già stato “violato” negli scorsi giorni in un tour con le associazioni, alla presenza di Claudio Fava e Gaetano Galvagno, presidente e componente della commissione che ha in corso un’inchiesta sulla gestione dei beni confiscati in Sicilia, partita su input di Nicola D’Agostino. Ma martedì, «dopo l’intervento dei vigili del fuoco per aprirli» c’è finalmente stato l’accesso in cinque immobili finora inviolabili, compresi nei 16 lotti messi a bando dall’Agenzia. Tre dei quali riconducibili a stretti familiari del capomafia. Il primo immobile, del figlio Angelo, all’interno si presenta «vuoto, ma in perfetto stato di conservazione». Il secondo, nella disponibilità di Sebastiana Testa (moglie del boss recluso), è una sorta di basso, «ben arredato e chiuso a chiave», con lo scenario di un «trasloco in corso», con «scatoloni dappertutto, alcune stanze svuotate e altre no». Ma è nella terza unità, riconducibile ad Angelo Zuccaro (fratello di Maurizio), che si presenta la scena più imbarazzante: un immobile «palesemente abitato», secondo i rappresentanti delle associazioni, i quali hanno dovuto vincere la «continua resistenza» delle forze dell’ordine che non avrebbero voluto farli entrare. Come se lì dentro ci fosse qualcosa che non dovevano vedere. Un sano interesse sociale che, secondo una precedente testimonianza agli atti dell’Antimafia, è sopravvissuto a una disarmante interlocuzione telefonica con l’Agenzia nazionale. «Ma perché non ve ne cercate un altro?», il consiglio ricevuto da una funzionaria.

Ma altrettanto interessante è l’audizione del coadiutore giudiziario dei beni (30 milioni il valore stimato dalla Dia nel 2013) confiscati a Zuccaro, Andrea Aiello, sentito ieri in Antimafia anche in veste di ex amministratore giudiziario delle aziende dei fratelli Cavallotti di Belmonte Mezzagno. Aiello avrebbe in parte confermato il racconto di Pruiti e Iannitti sul sopralluogo di martedì, ammettendo di non avere la disponibilità delle chiavi. E avrebbe chiarito che alcuni familiari del capomafia fino al 2016 avevano titolo di occupare alcune unità del complesso «in virtù di un contratto di locazione autorizzato dal tribunale». Lo Stato, in attesa di assegnarli, mette a reddito i beni confiscati, anche affittandoli ai parenti dell’ex proprietario, alcuni dei quali avrebbero scontato qui gli arresti domiciliari. Ma, fra ritardi e mancati pagamenti del canone, gli Zuccaro si dimostrano pessimi “inquilini”. E così, dopo la relazione di Aiello al tribunale, doveva esserci «uno sgombero coatto». Che invece non c’è stato. Un giallo, inoltre, è il carteggio fra l’Agenzia nazionale e i carabinieri di Gravina. Secondo Aiello, infatti, già a febbraio scorso da Roma c’è stata una formale richiesta di sopralluogo nel complesso, del cui esito negativo (ovvero: nessun occupante abusivo trovato) però non c’è «nessuna comunicazione». L’Agenzia, via Pec, ha reiterato l’istanza «ai primi di ottobre».

Ma, oltre alla curiosa circostanza che il “custode” dei beni confiscati non sapesse del bando nazionale per assegnarli («L’ho scoperto da una telefonata di Iannitti»), dall’audizione di Aiello emerge lo status edilizio del compound di Gravina: non accatastato, è «in gran parte abusivo e non sanabile». Per il Comune lì, ufficialmente, c’è un terreno dove si coltivano fichidindia.

Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere. «Noi non possiamo essere usati come degli “arieti” contro la mafia», ci dice Iannitti dopo l’audizione. Gli atti dell’Antimafia sono stati già trasmessi al prefetto Claudio Sammartino e al procuratore Carmelo Zuccaro. Ed è proprio da Piazza Verga che arriva la conferma dell’«attenzione» su questa inquietante vicenda. Che potrebbe diventare, se non lo è già, oggetto d’indagine.

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