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Petrolmafie spa, 49 arresti e sequestri: ecco tutti i siciliani coinvolti

Di Redazione |

CATANZARO – Il Raggruppamento Operativo Speciale dei carabinieri e il Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di Catanzaro, coordinati dalla Dda di Catanzaro, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Valeria Isabella Valenzi, nei confronti di 56 indagati, 28 dei quali in carcere, 21 ai domiciliari, 4 all’obbligo di dimora e 3 a misura interdittiva, su richiesta del procuratore Nicola Gratteri e dei pm Andrea Mancuso, Annamaria Frustaci e Antonio De Bernardo.

Il provvedimento è stato emesso nell’ambito del contrasto alla ‘ndrangheta unitaria, ed è una prosecuzione dell’operazione «Rinascita», che ha portato, l’8 aprile scorso, nell’ambito dell’operazione congiunta delle Dda di Roma, Napoli, Reggio Calabria e Catanzaro denominata «Petrol Mafie SPA», all’esecuzione di un decreto di fermo emesso dalla Dda catanzarese nei confronti di 15 persone.

I provvedimenti riguardano, appunto, i 15 fermati di aprile e altre 41 persone già coinvolte nel corso di quella operazione da altre Dda e per le quali, per questo motivo, la magistratura catanzarese non aveva chiesto l’emissione del provvedimento, chiesto successivamente a valutato positivamente dal gip.

I responsabili sono indagati, a vario titolo, per associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata a commettere delitti di estorsioni, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche, intestazione fittizia di beni, evasione delle imposte e delle accise anche mediante emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, contraffazione ed utilizzazione di documenti di accompagnamento semplificati; delitti aggravati dall’essere stati commessi al fine di agevolare le associazioni ‘ndranghetistiche attive sul territorio calabrese.

Le indagini, dirette dalla Procura e portate avanti dai Ros dei carabinieri e dalla componente specialistica in materia di accise del Nucleo di Polizia economico-finanziario della Guardia di finanza di Catanzaro, chiudono il cerchio sulle attività illecite dell’associazione mafiosa capeggiata dal clan Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), nell’ambito del commercio fraudolento di prodotti petroliferi, colpendo gli assetti organizzativi e logistici del sodalizio.

I beni già sottoposti a sequestro di urgenza, sequestrati nelle province di Catanzaro, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Crotone, Napoli, Salerno, Verona, Catania, Palermo, Messina, Ragusa, Siracusa, Caltanissetta, riconducibili a società di capitali e a ditte individuali operanti nel settore del commercio di carburanti e dei trasporti, a seguito di convalida, da parte del Gip, sono stati affidati agli Amministratori Giudiziari.

Da Verona sino alla Sicilia, la filiera del greggio coinvolgeva tutto lo Stivale. I Mancuso pensavano in grande, guardavano al sostegno della politica, della burocrazia e della massoneria ma l’obiettivo, il grande progetto, era quello di creare a Vibo Valentia una raffineria collegata tramite un oleodotto a una piattaforma di scarico piazzata a 1,5 chilometri dalla riva. Lì le navi provenienti da mezzo mondo avrebbero potuto attaccarsi e scaricare il greggio, di qualsiasi provenienza fosse. Tanto poi ci pensavano loro a farlo diventare “soldi”. Per questo si appoggiavano ad imprenditori che già operavano sul mercato.

Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia calabrese, nelle quasi quattromila pagine di ordinanza firmata dal procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, e dai sostituti Andrea Mancuso, Annamaria Frustaci e Antonio De Bernardo, era il catanese Orazio Romeo, autodefinitosi in una circostanza del 2012 estranea all’inchiesta, “erede universale” dell’imprenditore Sebastiano Pappalardo, suo nonno materno, e già in rapporti con i fratelli D’Amico. Per la Procura calabrese Romeo ha messo «a disposizione della consorteria le società del proprio gruppo, al fine di agevolare lo smercio del carburante contrabbandato dalla associazione, acquistandolo dai fratelli D’Amico a prezzi scontati, per la successiva vendita al dettaglio presso i distributori di sua proprietà. Inoltre, metteva a disposizione, per il trasporto di prodotto proveniente dal nord Italia, le autobotti di un’altra società» della galassia del gruppo e «offriva la propria disponibilità a riciclare denaro provento delle illecite transazioni e partecipava, con i D’Amico, alla ideazione di ulteriori sistemi di traffico e contrabbando di prodotti petroliferi ed oli minerali in evasione di imposte ed accise».

«I soldi in nero te li posso fare diventare bianchi», si vantava Romeo in una delle tante intercettazioni captate dai finanzieri dello Scico. Un primo incontro tra Romeo e i D’Amico c’era stato nel giugno 2018, ma è stato quello del 28 settembre dello stesso anno a suggellare l’accordo. Il 2 ottobre si sentono nuovamente per le “licenze” e dal 4 ottobre parte l’accordo, con un’altra intercettazione dalla quale si capisce che «la prima autocisterna si trovava in quel momento alla Dr Service, ove stava approvvigionando prodotto petrolifero. Romeo precisava altresì che l’indomani sarebbe seguita una seconda cisterna». «Come abbiamo detto… una e una…», si dicono mentre per la settimana successiva avrebbe inviato l’ordine in un secondo momento. «Se ne deduceva – scrivono i magistrati – che le parti avevano già concordato una fornitura di più autocisterne a settimana». Quel “una e una”, secondo gli inquirenti «sottende l’accordo, vigente tra Romeo e i D’Amico, per cui, su due autobotti di prodotto petrolifero, una viene acquistata in nero, con pagamento in contanti». 

I rapporti tra Romeo, D’Amico e Mancuso erano anche precedenti al 2018. La SP Energia Siciliana negli anni 2012-2013 aveva promosso un’azione esecutiva nei confronti della società dei D’Amico per un credito di 2 milioni di euro. Ma la società siciliana era anche proprietaria di un distributore a Filandari (in provincia di Vibo Valentia) gestito da Cesare Nicola Limardo, nipote di Giovanni Mancuso oltre che di Silvana Mancuso. Quel distributore fu venduto a Limardo a poco più di un quinto del valore della stessa.

Altro nome siciliano nelle carte dell’inchiesta è quello dell’avvocato Antonino Grippaldi, vicepresidente alla Kore e nel Cda Autodromo Pergusa – entrambe le realtà del tutto estranee all’inchiesta, ovviamente – secondo la Procura “prestanome” per conto di Giovanni Camastra, Domenico Camastra e Antonio Casile come rappresentante legale dell’ItalPetroli S.p.A. dal 05.11.2018 al 14.02.2019, nonché presidente del Cda della società.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA