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La scomparsa di Denise, un mistero lungo 17 anni

Di Redazione |

Il giallo più complicato d’Italia, ma anche quello che ha avuto una lunga narrazione mediatica fino agli sviluppi di oggi con il sopralluogo di una casa disabitata da anni in diretta tv, è cominciato in una strada di Mazara del Vallo quasi 17 anni fa. Era il primo settembre 2004 quando Denise Pipitone scomparve davanti alla casa della nonna Francesca Randazzo. Aveva quattro anni, giocava con i cuginetti che all’improvviso non l’hanno più vista. E da allora di Denise non si sono più trovate tracce. La mamma Piera Maggio non si è mai rassegnata e anzi si è impegnata nella minuziosa ricerca di indizi utili a squarciare il velo del mistero. È stata ospite di varie trasmissioni televisive tra cui «Chi l’ha visto», ha lanciato appelli, sollecitato le ricerche, tallonato gli investigatori alle prese con piste tutte accantonate.

Sono così cadute le tante ipotesi che in questi anni avevano preso corpo: da quella della pedofilia a quella del rapimento da parte di alcuni Rom. Un mese fa era improvvisamente venuta fuori Olesya Rostova, una ragazza che si era rivolta a una tv russa per rintracciare la madre. Era stata sottratta a una nomade e ospitata in un orfanotrofio. Una somiglianza con Piera Maggio, mamma di Denise, aveva alimentato una speranza subito travolta dai risultati degli esami del sangue. E dopo un tira e molla con la televisione che voleva dare al caso una dimensione spettacolare è venuta la certezza che Olesya non è Denise. Nel 2007 il collaboratore Giuseppe D’Assoro, detenuto per omicidio, aveva confessato di aver tenuto in un congelatore il corpo della piccola uccisa dall’ex moglie imparentata con i Pulizzi e di averlo poi gettato in mare. Anche questa «verità» è poi risultata falsa.

L’unica pista diventata un caso giudiziario a tutti gli effetti è quella che aveva ipotizzato un movente «privato». Denise era la figlia naturale di Pietro Pulizzi. Da qui il sospetto che la sorellastra Jessica potesse avere partecipato al sequestro della bambina, mossa da ‘astio e gelosià. L’accusa contro Jessica Pulizzi, rinviata a giudizio nel 2010, si fondava su una intercettazione ambientale. Negli uffici della polizia, dove attendeva di essere sentita, la giovane aveva confidato alla madre: «Io a casa c’a purtai» (a casa gliela portai). Un’altra svolta arriva il 6 dicembre 2014 quando la Procura di Marsala aprì un’inchiesta per omicidio contro ignoti.

L’11 ottobre 2004, parlando con la sorella minore Alice in casa della madre Anna Corona, Jessica avrebbe detto: «Eramu n’casa, a mamma l’ha uccisa a Denise» (Eravamo a casa, la mamma ha ucciso Denise). Ma il contenuto della conversazione non è risultato chiaro e la nuova pista è dunque sfumata. Jessica intanto è stata assolta (27 giugno 2013) dal tribunale di Marsala (il pm aveva chiesto 15 anni). La sentenza è stata confermata negli altri gradi di giudizio: in appello (2 ottobre 2015) e in Cassazione (5 settembre 2017).

A carico della sorellastra di Denise sarebbero emersi solo indizi e non prove. Dopo il verdetto della Cassazione, la Procura di Marsala ha riaperto il caso, che per la verità non era stato mai archiviato, e ha disposto rilievi scientifici e ricerca di impronte in vari luoghi. Un filone di indagine parallelo è intanto nato dalle dichiarazioni di Maria Angioni, ora giudice a Sassari, che nel 2004 come pm di Marsala aveva seguito l’inchiesta sulla scomparsa di Denise. Maria Angioni ha rivelato che le indagini affrontarono falle e depistaggi.

«Abbiamo capito – ha detto – che dopo tre giorni le persone sottoposte a intercettazioni già sapevano di essere sotto controllo. Quando ho avuto la direzione delle indagini, ho fatto finta di smettere di intercettare e poi ho ripreso da capo con forze di polizia diverse, nel disperato tentativo di salvare il salvabile». Neanche così è stato però possibile imboccare la strada giusta.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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