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Cronaca

Quel progetto di Giovanni Falcone di una “banca delle voci” dei mafiosi

Di Redazione |

Della stanza di Giovanni Falcone, all’ufficio istruzione del tribunale di Palermo, ricorda il disordine, i pacchetti di Dunhill rosse e i faldoni sparsi ovunque. E anche una sedia – di cui erano rimasti soltanto la seduta e la spalliera – poggiata su una pila di carte e per questo regolabile in altezza, togliendo e aggiungendo un po’ di fogli.

Il professor Ugo Cesari, otorinolaringoiatra e foniatra, docente all’università Federico II di Napoli, conobbe Falcone quando eseguiva le perizie foniche per il riconoscimento delle voci. Un paio di volte al mese si recava a Palermo per consegnare le sue consulenze, corredate di tracciati spettrografici. Attività poco ordinarie negli anni Ottanta: «Solo più tardi – osserva – anche i pm di Napoli compresero l’utilità delle perizie foniche per le intercettazioni telefoniche ed ambientali e mi coinvolsero nelle loro indagini in qualità di consulente. Ma Falcone guardava oltre l’orizzonte processuale: egli pensava di poter creare una banca dati delle voci già note degli affiliati a Cosa nostra. In una seconda fase quelle voci sarebbero state confrontate con i parlatori anonimi che di volta in volta venivano intercettati».

«Un giorno – ricorda – notai che il timbro vocale di un capo di mandamento era particolarmente difficile da analizzare: il confronto tra due voci si basa sulle vocali, in quanto le consonanti sono caratterizzate da rumore e non da suono e, soprattutto, sono troppo brevi per un’accurata valutazione strumentale. Quel mafioso aveva delle vocali brevi, corte come solo nel Trapanese si può sentire. Fino ad allora avevo ascoltato solo voci palermitane: i “miliaaaaaiiirdi”, i “piiiccioli…” A volte i palermitani eccedono fino alla “dittongazione” delle vocali. Zu Matteo, invece, aveva delle vocali cortissime; te le dovevi cercare tra frasi laconiche e perentorie, altro che logorrea. Avrei voluto mettere a punto una banca dati e identificare quel parlatore trapanese che credo sia ancora latitante».

Il professore ricorda come si complicò la vita di un’amica che aveva testimoniato al maxiprocesso. «Non avevo ancora un cellulare, ma anch’io, come lei, cominciai a ricevere strane telefonate a casa, a Napoli, e in albergo, a Palermo. Continuai a collaborare con la Procura ma senza prenotare più un albergo: andavo in una villa di proprietà di un’amica giornalista. Dopo il 23 maggio del ’92 non tornai più a Palermo per le perizie foniche. Quel giudice che mi assegnava le perizie, il genio che voleva allestire la banca dati delle voci, non c’era più. Gli agenti della Dia mi portarono alcuni saggi fonici di un estorsore da confrontare con le voci di alcuni mafiosi di rango. Grazie alle mie sofisticate metodiche di indagine identificai la voce di Totuccio Contorno, nonostante fosse sotto protezione (fu arrestato poco tempo dopo perché era tornato in Sicilia per sterminare gli avversari ndr). Un alto dirigente della Polizia di Stato non condivise le mie conclusioni».

Da allora, ricorda ancora il professor Cesari, «mentre si insediava a Palermo un nuovo procuratore, le perizie furono assegnate all’Istituto Galileo Ferraris di Torino. Ma se il progetto di Falcone della «banca delle voci» non riuscì a realizzarsi, la Procura di Palermo diretta da Francesco Lo Voi oggi annuncia invece un altro importante traguardo: la digitalizzazione di tutti gli atti del maxiprocesso. Un’enorme mole di documenti – 11.136 volumi dell’ordinanza sentenza di rinvio a giudizio e tutti gli atti dibattimentali – che si aggiunge al lavoro già fatto dalla Fondazione Falcone che aveva trasferito su supporto telematico i principali provvedimenti dell’istruttoria. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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