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Cronaca

Le due bimbe nel Presepe

Di Silvana Grasso |

Tante, veloci, rosse e d’oro, le luci dell’albero di Natale. Danzano, come su un palcoscenico dell’Opera, gli angioletti di cartapesta, che dopo un anno ridestano le ali di piuma e hanno occhi incantati di bimbo. Gli stessi incantati occhi Maria Sofia e Gaia, due figlie, due bimbe che, il giorno dell’Immacolata, lo hanno preparato quell’albero, in via Passaniti a Gela.

Lo hanno preparato, giocose rovistando tra scatoloni di cartone in cantina, cercando a gara le stelle più belle, cercando pigotte, candele, orsetti, e nastrini, non solo angeli, che per un mese, nella magia del Natale e d’un bambino, misteriosamente riprendono vita respiro sangue colore e gesto di uomini veri. Quelli che nascono, respirano, camminano, amano, odiano, simulano, cospirano, lottano, invecchiano, con addosso il pesante carico d’infelicità, vera o verosimile. Esibita o nascosta. Drammatizzata o minimizzata.

Per un mese, stelle pigotte angeli candele orsetti, diventano anch’essi parenti di famiglia, d’allegria, di tavole profumate, dove c’è sempre posto per chiunque, anche per uno sconosciuto dell’ultimo momento.

In quel presepe di via Passaniti a Gela, a pochi metri dalla chiesa Madre, era già nato Gesù bambino nel suo ciuffo di paglia bionda, tra l’asinello e il bue, col pungitopo vero e i mandarini veri colti nell’orto di prima mattina, quand’ancora hanno addosso la placenta lieve della brina.

Quel presepe che, pur adulti, per un mese intero ci fa scudo dalla falce e dalla frusta della vita, quella vera, quella che ammazza, quella che inganna, quella che illude e delude, quella, crudele e sfinge, che azzanna senza rimorso, quella che non fa differenza tra farabutti e persone perbene, bambini e adulti, quella che fa d’una madre un’assassina, e a nulla vale chiedere pietà. Quella vita che, come aratro su papavero in fiore, le ha tratturate Maria Sofia e Gaia, le due bimbe di via Passaniti, tenere come papaveri, in un caldo mattino di dicembre, mentre Sole e chiarìa di cielo inscenavano la primavera. Quelle bimbe che, ancora in pigiama, dopo il latte caldo coi biscotti, non si saziavano di guardarlo il Gesù, piccino e neonato, dentro la magica bolla d’un presepe che, per un mese, ci riporta bambini tutti, con pensieri di bambino, desideri di bambino, sogni di bambino, quasi la prolunga magica d’una puerizia effimera, invano rimpianta e disìata dagli esseri umani, anche da vecchi.

Facciamo finta tutti che vada bene, attori e comparse del santo Natale, sfornando dolci col vincotto, e pandispagna, farciti di ricotta, comprata all’alba nell’ovile di Montelungo, la collinetta mitologica che veglia la Città di Gela, col suo ventre caldo e profumato di ricotta.

E’ stato l’ultimo Natale per le bimbette di via Passaniti, l’ultima accensione di luci fuochi e stelline, sull’albero e in cielo.

È stata ferita mortale sulla carne tenera dell’innocenza, è stato sbotto di sangue sulla pelle della candida neve.

Vorremmo solo sentire il carillon che ai piedi dell’albero, solo qualche ora fa in via Passaniti, intonava la sua musichetta di Natale per due bimbe ancora in pigiama di flanella.

Vorremmo la santa sordità dell’amore vero, che non ascolta le dicerie degli untori, che infettano il Web mentre noi scriviamo, che lo infettano mentre voi leggete.

Vorremmo custodirle queste bimbe con cura, tra rotoli di giornale bende di garza e cotone idrofilo, assieme alla Madonna a San Giuseppe e al Bambin Gesù di terracotta, e ridestarle dal sonno tra profumo di dolci, abbaglio di luci, e stelle comete, il prossimo Natale. E trovarle bimbe, immutate bimbe, innocenti bimbe, sorridenti bimbe, gioiose bimbe, pronte a rivestirsi di carne, gesto, pensiero, sogno, illusione, risata, abbraccio.

Vorremmo anche per loro un altro dì natale, proprio come per il Bambin Gesù.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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