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Di Maio: «L'Italia non accetta il ricatto di Haftar, lavoriamo al rilascio dei pescatori»

Redazione La Sicilia

16 Settembre 2020, 09:28

Di Maio: «L'Italia non accetta il ricatto di Haftar, lavoriamo al rilascio dei pescatori»

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ROMA - «L'Italia non accetta ricatti, lo voglio dire molto chiaramente». Sono le parole pronunciate questa mattina da il ministro degli Esteri Luigi Di Maio a Radio 24 parlando del caso dei 18 marittimi siciliani fermati in Libia con pescherecci «Antartide» e Medinea» il primo settembre a circa 35 miglia a nord di Bengasi. Oltre agli equipaggi dei due motopesca in cerca del «prezioso» gambero rosso in stato di fermo vi sono anche Giacomo Giacalone e Bernardo Salvo: comandante e primo ufficiale dei motopesca «Anna Madre» e «Natalino» (registrato a Pozzallo ma con equipaggio mazarese) riusciti a sfuggire alla cattura quella stessa serata. «I nostri concittadini devono tornare a casa», ha sottolineato il ministro. 

Il ricatto di cui parla Di Maio è quello che sarebbe stato messo in atto dal generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, che controlla la zona di Bengasi e che ha dato ordine di non rilasciare i pescatori italiani fino a quando 4 calciatori libici imprigionati a Catania e condannati a 20 e 30 anni per traffico di migranti non saranno liberati. Per mesi le loro famiglie in Libia hanno chiesto la libertà, sostenendo che erano soltanto calciatori, atleti che volevano fuggire in Europa. Giovedì scorso donne, uomini, bambine e bambini si sono presentati al porto di Bengasi con fotografie e cartelloni: «Liberate gli atleti libici: sono calciatori, non trafficanti».  

Ma Di Maio oggi ha detto chiaramente che l'Italia non può assecondare un ricatto che prevede uno sorta di “scambio di prigionieri”. «L'Italia non accetta nessun ricatto sui propri connazionali - ha affermato - Devono tornare a casa». «Dobbiamo essere pienamente coordinati perché questo lavoro va fatto con molta attenzione», ha aggiunto.

«Stiamo lavorando come governo» per «riuscire a ottenere il rilascio» dei «pescatori che sono in stato di fermo in Libia», ha spiegato il capo della Farnesina. «Non sono in prigione, sono in stato di fermo, quindi queste persone non sono a contatto con altri detenuti», ha precisato. «Presto - ha ribadito - convocheremo vertice di governo su questo tema». Il titolare della Farnesina ha quindi ricordato di aver «sentito il ministro degli Emirati e il ministro russo, che hanno capacità di influenza su quella parte libica», e ha sottolineato: «Stiamo lavorando anche con un basso profilo per ottenere risultati».

Ma intanto a Mazara del Vallo da 14 giorni non si hanno notizie dei siciliani «e non riusciamo a metterci in contatto i marinai - dice  Leonardo Gancitano, armatore dell’Antartide -. Noi vogliamo solo che l’equipaggio e le barche tornino presto a casa e il ministro ci ha rassicurati. Le trattative sono in corso e siamo fiduciosi nell’azione del Governo, delle diplomazie e della Farnesina».

Nel frattempo però si insinua il dubbio che questa rappresaglia contro i nostri pescherecci non sia motivata dalla vicenda dei calciatori libici detenuti in Italia, ma potrebbe essere stata scatenata dal fatto che probabilmente è stato notato che l’ultima missione in Libia del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, prima dell’arresto dei pescatori nell’est della Libia, non ha incluso una visita al generale Khalifa Haftar. È l'ipotesi di Claudia Gazzini, esperta di Libia dell’International Crisis Group (Icg). «I marinai - ha detto  - si sono trovati vittime di un problema che non li riguarda», al centro di una «dimostrazione di forza contro Di Maio che non ha incontrato Haftar».

Secondo l’esperta, sarebbe un messaggio «per dire "guarda che noi militari ci siamo e siamo noi che controlliamo il terreno e non è Aguila Saleh"», il capo del Parlamento di Tobruk che «invece Di Maio è andato a trovare» durante la missione di inizio mese. E, ha ricordato Gazzini, «ci sono vari precedenti di detenuti di Paesi terzi trattenuti a lungo in Libia come pedina di scambio».