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Caso Contrada: Strasburgo rifiuta il ricorso del governo italiano

Caso Contrada: Strasburgo rifiuta il ricorso del governo italiano

La Corte, lo scorso aprile, aveva sancito che l’ex poliziotto non doveva essere condannato riconoscendogli un risarcimento di 10 mila euro per danni morali. Il ministero della Giustizia italiano aveva fatto ricorso che ora Strasburgo ha rigettato

Di Redazione |

PALERMO – «La Grande Camera della corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo ha respinto il ricorso del governo italiano contro la decisione della Cedu». Lo dice l’ex dirigente del Sisde Bruno Contrada condannato a 10 anni di reclusione per concorso esterno alla mafia. La Corte di Strasburgo, lo scorso aprile, aveva sancito che l’ex poliziotto non doveva essere condannato riconoscendogli un risarcimento di 10 mila euro per danni morali. Il ministero della Giustizia italiano aveva fatto ricorso che ora Strasburgo ha rigettato.   Contrada si dice soddisfatto della «nuova decisione presa dalla grande Camera composta da diciassette giudici contro i sette del ‘primo gradò». «Lo studio dell’avvocato Enrico Tagle – aggiunge – si sta occupando della vicenda. Ora la sentenza dev’essere recepita dalla giurisdizione italiana».   L’ex numero tre del Sisde rimarca il fatto che «il ministero della Giustizia italiano ha presentato ricorso il 14 luglio scorso ultimo giorno utile». La Corte europea dei diritti dell’uomo, lo scorso 14 aprile, aveva stabilito che Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perchè, all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non “era sufficientemente chiaro” e aveva ordinato allo Stato italiano di versare all’ex poliziotto 10 mila euro per danni morali.   Contrada si è rivolto alla Corte di Strasburgo nel luglio 2008 affermando che – in base all’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani, che stabilisce il principio «nulla pena sine lege» – non avrebbe dovuto essere condannato perchè «il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso è il risultato di un’evoluzione della giurisprudenza italiana posteriore all’epoca in cui lui avrebbe commesso i fatti per cui è stato condannato».   I giudici di Strasburgo gli hanno dato ragione, affermando che i tribunali nazionali, nel condannarlo, non hanno rispettato i principi di «non retroattività e di prevedibilità della legge penale».

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