L'impresentabile per Dna: «Ma io non conosco mio padre
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Catania. Impresentabile. O presunto tale. Ma la presunzione conta ben poco; quando la palla di neve è già diventata una valanga di fango.
Impresentabile. Per certificato di nascita e per cromosoma Y.
Impresentabile - ma lui non si definisce certo così - «per le cose fatte da una persona che non ho mai conosciuto».
Suo padre. Il padre di Giovanni Magni, 26 anni, studente di Economia, di Valverde, ma aspirante candidato al consiglio comunale di Catania. Un giovane impegnato da due lustri nella politica universitaria e locale, adesso in pista «per realizzare un progetto che io e il mio gruppo coltiviamo da cinque anni».
Ma cos'è questa storia?
Partiamo dal penultimo capitolo, perché l'ultimo si deve ancora scrivere. Magni sta entrando nella lista di Fratelli d'Italia per Palazzo degli Elefanti, quando si alza un venticello di maldicenze. Che spinto dallo scirocco di questa strana primavera elettorale, arriva da Catania a Roma.
Ma in principio fu una rapina. «O forse un furto, non me lo ricordo». Era il 1993. Giovanni non aveva compiuto nemmeno un anno, quando suo padre andò in carcere per la prima volta. «E da quel momento uscì dalla mia vita e da quella di mia madre». Anna Maravigna, una donna coraggio che ha tirato su da sola suo figlio e ormai ha "espiato" gli errori sentimentali di gioventù anche grazie al nuovo compagno, un poliziotto. A Giovanni è mancato un padre. "Il" padre. Ma non tutto il resto: studi salesiani a Cibali, infanzia e adolescenza felici in una bella casa a Valverde. Prima comunione e cresima con le foto in cui manca sempre la stessa persona, soltanto sua madre in ospedale per i tre interventi agli occhi; la "seconda firma" per le gite d'istruzione all'estero deve metterla sempre il giudice. Il divorzio, dopo un inseguimento di domicili mutevoli, non cambia nulla. «Mio padre non c'è mai stato». Giovanni compensa l'assenza anche con l'impegno. Studio, ma soprattutto politica. Senatore accademico con i baby-lombardiani, si ritaglia il suo quarto d'ora di notorietà con lo sfogo davanti all'ex presidente Giorgio Napolitano in visita all'università di Catania: «Noi ragazzi siciliani faremo la valigia una sola volta e torneremo in questa bella terra solo per le vacanze». La passionaccia per la politica, così come l'attività di organizzatore di serate nei locali, rallenta la sua carriera universitaria. «Ma mi sto impegnando ancora di più, fra poco mi laureo».
E ora Giovanni Magni, spinto dall'associazione studentesca di destra "We Love UniCt", decide di candidarsi in FdI, sulla scia dell'elezione di Gaetano Galvagno, che definisce «il mio fratello maggiore», all'Ars. Tutto è pronto, compreso il comitato elettorale, caotico e festoso, in via Napoli 80. Ma escono quelle voci. Che arrivano fino ai vertici del partito. E adesso, dopo aver scoperto cos'ha fatto suo padre in questi anni grazie al casellario giudiziario, Giovanni è costretto al coming out più doloroso. «Non ci dormo la notte, mi sembra di essere prigioniero di un incubo». L'aspirante candidato, già bollato come impresentabile per Dna, si sfoga: «Non posso essere perseguitato per gli errori di una persona che nemmeno conosco». Le colpe dei padri ricadono sempre sui figli: è una legge di natura. «Ma non prendo le distanze da lui in quanto persona che mi ha messo al mondo, io prendo le distanze da uno sconosciuto». Perché, precisa con la voce rotta dall'emozione, «se fosse stato presente nella mia vita non l'avrei rinnegato, l'avrei pure difeso». Eppure non è così, non può essere così. «Perché non provo niente per lui. E non posso pagare per colpe che non ho».
Fra Roma e Catania si decide il piccolo grande destino di chi vuole "soltanto" candidarsi in consiglio comunale. «Ho sentito queste voci sul mio conto e non voglio mettere in difficoltà né il mio partito, né Giorgia Meloni che ritengo la leader più vera della politica italiana». Proprio lei che, in un'ospitata a Quinta Colonna, ha confessato con non poco imbarazzo una storia personale per alcuni aspetti simile a quella di Giovanni. «Non ho rapporti con mio padre, diciamo che mio padre non ha fatto il padre», è la rivelazione dell'ex ministra nel gelo calato in studio.
«Avere un cognome non significa avere un padre», Meloni dixit. Ed è su questo assunto che si aggrappano le speranze di Magni. «Mi appello alla nostra leader: chi può capirmi meglio di lei?».
Siamo all'atto finale. Quello più estremo. «Rivoltatemi come un calzino, indagate su di me dove e come volete. Io sono pulito. Di più: puro». Il sospetto epidermico è che sia almeno un bravo ragazzo. Giovanni Magni sarebbe un buon consigliere comunale di Catania? Non è dato saperlo, prima deve potersi candidare.
Ma se un giovane di 26 anni arriva a tutto questo per «continuare a sognare», allora la barbarie ha davvero vinto.
Fino a prova contraria.
Twitter: @MarioBarresi