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“Non ho ucciso l’uomo ragno”, riecco Mario Repetto il "biondino degli 883"

Ha deciso di raccontarsi in un libro: la biografia che diventa un romanzo

Simone Russo

16 Ottobre 2023, 15:44

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Gli 883 hanno fatto e continuano a fare la storia della musica italiana. Max Pezzali e Mauro Repetto, i due compagni di banco al liceo, negli anni ’90 hanno iniziato ad inseguire il loro sogno di raccontarsi in musica. Da Pavia, nascono gli 883 e i successi intramontabili come “6 1 mito”, “Hanno ucciso l’uomo ragno”, “Non me la menare”. All’apice del successo, esattamente nel 1994, Mauro, il biondino degli 883, ha deciso di lasciare questo sogno ad occhi aperti. Sparisce dalla scena ed iniziano le varie leggende su di lui.

Adesso, Mauro – guidato da Massimo Cotto – ha deciso di raccontarsi nel suo libro “Non ho ucciso l’uomo ragno” edito da Mondadori. La vita di Mauro Repetto assomiglia più a un romanzo che a una biografia, ed è tutta mirabilmente raccontata in questo libro. In questi giorni sta incontrando il suo pubblico, tre gli appuntamenti che si sono già svolti in Sicilia: Palermo, Modica e Catania.

Come nasce “Non ho ucciso l’uomo ragno”? A distanza di più di trent’anni hai deciso di raccontarti, come mai?

Un caso fortuito. Lo scorso Natale, Stefano Salvati, regista dei primi video degli 883, mi chiama per farmi gli auguri di Natale e mi viene in mente di inviargli delle idee che stavo avendo per Robert Watts. Oltre ad inviarle al produttore statunitense, ho pensato di farle avere anche in Italia a Stefano. Cominciamo a trovarci e a spolverare la vecchia amicizia che avevamo ai tempi degli 883 quando facevamo i video insieme. Da lì nasce cosa su cosa. Massimo Cotto e il libro, Maurizio Colombo e il progetto teatrale. Con Massimo Cotto, che non conoscevo, in due giorni gli racconto tutta la mia vita. Un fiume in piena. Gli verso tutto quello che la mia anima e il mio corpo hanno vissuto. Lui, nelle settimane che seguono, la trascrive sotto forma di libro.

Il tuo libro arriva in libreria e viene avvolto dall’affetto del pubblico. Un pubblico che, realmente, non si è mai dimenticato di te. Il pubblico ti vuole ancora bene.

Forse il merito è da attribuire al fatto che sono sempre stato coerente con quello che volevo fare. Per me è stato normale ed ho scelto la facilità. Ho veramente rispettato quello che volevo fare. Ho rispettato la linea del destino sul palmo della mia mano, l’ho seguita. Non mi interessava un successo se volevo avere un altro successo. Per me, la missione compiuta con Max l’avevo fatta. Volevo fare qualcosa per me a Los Angeles e a New York e ci ho provato.

Citando una vostra canzone, “ma perché sei andato via? Ti sei perso nella notte”?

Non mi sono perso nella notte, volevo seguire i miei sogni. No i sogni di un altro. Può essere sembrato strano ma volevo veramente andare a New York e a Los Angeles. Tentare il cinema e fare un disco proprio lì. Ci sono più o meno riuscito. Ho preso un “palo” fuori, non ho proprio gettato la palla in tribuna. Mi sono creato un’azione di goal. Questo per me era, comunque, sufficiente. Essermi cimentato in un progetto strutturato che era quasi riuscito. Non ho vinto e ci riprovo adesso. Sono abbastanza coerente con l’azione da goal che ho creato. Sono sempre stato sedotto dalle metropoli. Ho sempre amato la vibrazione, la vibe di una metropoli, da Londra a Los Angeles ma anche a Roma o a Milano. Anche il centro di Pavia mi ha sempre attirato. Parigi fa parte di queste metropoli ed è molto vicina e simile a Milano e all’Italia in generale. Siamo cugini con i parigini. A Parigi ho notato che è più facile rialzarsi dopo una caduta. A New York quando cadi prendi una batosta, ci metti molto di più a rialzarti. Parigi cadi e ti rialzi subito. La scelgo come casa, ancora oggi vivo in un quartiere de Place de la Bastille, a Parigi.

In Francia, però, hai deciso di ripartire da “zero”. Nonostante in Italia fossi “il biondino degli 883”, lì decidi di essere “semplicemente” Mauro Repetto. Una scelta importante e con tanto coraggio.

Assolutamente si e ne sono felice. Mi sono presentato proprio come uno laureato in lettere che va a fare un colloquio di lavoro a Disneyland Paris e che viene assunto come cowboy. Mettevo il vestito di cowboy ogni mattina nell’attrazione alla frontiera del far west e mi sentivo bene. Mi seduce, ricominciare da zero. Era quello che cercavo, quello che volevo. Ora continuo a lavorare a Disneyland Paris come event executive.

Quei due compagni di banco, Max e Mauro, quando hanno capito di avercela fatta?

Sento “Non me la menare” che esce dalle finestre dell’università di Pavia. Questo è stato un momento incredibile. Ero uno studente sfigato, forse avevo dato solo due esami, non facevamo nulla né io né Max. Dopo mi sono laureato ma allora ero proprio sfigato. Sento questa canzone che comincia ad essere ascoltata e cantata e capisco che cominciamo a contare. Ad essere veramente delle persone che possono farcela. Lì è iniziato il viaggio. Il segreto di “Non me la menare”, forse è il titolo. Il testo è un po' differente dalla pop italiana di quei tempi. Però questa canzone dà la scintilla a Cecchetto che ci dice di fare un album.

E da lì…

All’inizio siamo stati eliminati dal primo tour del Cantagiro. Non era scontato il successo. Anche se avevamo alle spalle il team di Claudio Cecchetto, all’inizio avevamo delle difficoltà. Al Cantagiro veniamo eliminati subito, però l’estate comincia a scaldarsi con “Hanno Ucciso l’uomo Ragno” ovunque. Cecchetto ci dice di non cambiare niente perché era un aereo che stava planando da solo. Ed è stato veramente così.

Alla fine della fiera, chi ha ucciso l’uomo ragno?

Tutti, a volte, lo uccidiamo quando siamo veramente giù. Nello stesso momento tutti, a volte, lo facciamo risuscitare il giorno dopo quando abbiamo di nuovo la forza e l’energia. Nessuno lo ha veramente ucciso, tranne quelli che hanno proprio perso la fiducia nella razza umana, nell’amore, nella donna e nell’indomani. Qualcuno lo ha veramente ucciso se non si ha più veramente la voglia di corteggiare una donna.

Insieme a “6 1 mito”, “Hanno ucciso l’uomo ragno”, “Con Un Deca” presentate al pubblico anche “Cumuli”, un brano che sembra diametralmente opposto a tutto quello che avete raccontato in precedenza. Cumuli racconta di droga. Una scelta che può sembrare strana, perché?

Assolutamente coerente con la vita. C’è proprio un fil rouge con la vita di Pavia. Quanti amici sono morti di droga, tra Aids, overdose ed incidenti vari. Fa parte della vita di Pavia, sia la ragazza di “6 1 mito” che l’amico che muore di droga in “Se tornerai” o in “Cumuli” fanno parte di Pavia. Della vita di una città. Fa parte del quotidiano anche la droga, anche se sembra diametralmente opposta con la vita, fa parte di una città. Noi abbiamo sempre voluto raccontare quello che succedeva intorno a noi.

Sono trascorsi più di 30 anni da questi brani ed ancora oggi sono delle hit, ti sei mai spiegato il perché?

Le canzoni mie e di Max erano totalmente dei passatempi. Dovevano colmare la nebbia d’inverno e la calura in estate a Pavia. Dovevamo fare qualcosa nel pomeriggio. Mettevamo nero su bianco quello che vedevamo al bar o che pensavamo di prevedere che avvenisse al bar. Le ragazze che ci piacevano, le menate, le paranoie, le persone sfigate. Tutto quello che ci circondava lo mettevamo all’interno delle canzoni, per far passare il tempo. Il testo era comune a milioni di ragazze, queste menate erano uguali per tutti. Erano delle avventure che potevano interessare tutti. Eravamo due ragazzi normaloni e banaloni. Facevamo delle cose normali, come tutti, e le mettevamo in musica. Questo è stato sicuramente il punto di forza, ancora oggi.

La scorsa estate, per festeggiare questi tre decenni, hai accettato l’invito di Max e sei salito sul palco di San Siro per due serate memorabili. Un pubblico “sold out” si è emozionato appena ti ha visto sul palco. Cos’hai provato in quel momento?

E’ stata una emozione reciproca. Appena ho messo il primo piede sul palco ho guardato gli occhi di Max. Oltre la comunione con le canzoni ed il pubblico, ho guardato gli occhi di Max, come in terzo liceo. Era la cosa che più mi premeva ed ho fatto. La cosa che mi piaceva di più. Perdermi negli occhi di Max è stata l’emozione più bella. Vedo questo ragazzo, Max, che non vedevo da un sacco di tempo e cerco subito una complicità. La trovo e ci divertiamo di brutto.

Adesso cosa ti auguri per il tuo futuro?

Di andare a Sanremo, se Amadeus mi sceglie. Ci sono sicuramente tantissimi più bravi di me. Ci sono tantissimi big e spero, nel mio piccolo, di esserci anche io. Ho già inviato il brano ad Amadeus e spero di esserci su quel palco. Poi sto lavorando ad uno spettacolo teatrale con Marco Guarnerio e con Celine Angelon dal titolo “Rock The Moon alla ricerca dell’uomo ragno perduto”. Dovrebbe iniziare come prima data a fine marzo, inizi di aprile, all’Arcimboldi di Milano. Stanno pensando anche ad un tour in giro per l’Italia, nei vari teatri. Mi auguro di arrivare in tutti i teatri d’Italia.